Intervista a Luca Ricci: « La letteratura è un tentativo di ordinare il caos »

L’amore è l’oggetto d’indagine su cui più di frequente gli scrittori puntano la propria lente d’ingrandimento, e ciò vale sia per i contemporanei sia per gli antichi. Si tratta di una materia oscura, intricata, sfaccettata, qualcosa che mai potrà essere esaminata fino in fondo. D’altra parte, l’amore cambia. Si evolve. Muta forma e consistenza nel tempo e nello spazio. Sta al narratore o alla narratrice riuscire a cogliere quel dettaglio, quella nervatura nel legno, mai vista prima dai suoi predecessori. Sta a lui o a lei vedere ciò che finora non è stato visto. Luca Ricci ne è perfettamente capace. Ne Gli estivi, il suo ultimo romanzo – edito da La nave di Teseo – parla di amore, e lo fa declinando questa forma di autodistruzione e autoelevazione in modi nuovi. Parla dell’amore ossessivo, dell’amore marcescente, dell’amore fraterno. Un catalogo di sentimenti che Ricci scandaglia egregiamente fino a giungere, attraverso un ventaglio di personaggi allucinati e semiseri, al magma che dà vita alle passioni più potenti e allo stesso tempo più comuni a tutti noi.
Di amore e letteratura abbiamo parlato in questa intervista.

Il romanzo è il secondo capitolo della quadrilogia delle stagioni. Da Gli autunnali però sei passato direttamente a Gli estivi. Hai saltato la primavera. Perché?

Perché il progetto della quadrilogia è atemporale, nel senso che non m’interessava scrivere le stagioni in modo lineare, consequenziale: ciascun libro fa storia a se stante, pur nell’ottica di un quadro più ampio. La serialità a cui siamo abituati richiama l’idea romanzesca del feuilleton, della variazione narrativa della medesima storia. Io invece che nasco come scrittore di racconti (quindi mi piace comporre storie sempre diverse con personaggi sempre diversi) nella quadrilogia delle stagioni faccio tornare i macro temi ma non i personaggi, e di conseguenza le vicende cambiano. In questo modo, per dirla come probabilmente la direbbe Goffredo Parise, nella composizione mi lascio guidare dalla poesia, che in questo caso è una specie di necessità creativa, scrivo la stagione di cui ho voglia di scrivere, e spero che la poesia non mi abbandoni finché non avrò finito.

L’intero romanzo è una sorta di lettera che il protagonista scrive all’amata, a lei si rivolge a più riprese. Come mai hai deciso di utilizzare questo espediente narrativo?

Sì, se vuoi è una lunga lettera che dura ben quindici estati, durante le quali le prospettive dei personaggi cambiano significativamente. Il “tu” è un espediente che alza subito la temperatura emotiva, che (ri)scalda i toni, e quindi lo trovavo molto calzante per Gli estivi. Da un altro punto di vista, direi eminentemente narrativo e armonico, mi serviva bilanciare tutta la crudeltà della storia e anche le analisi spietate che il protagonista e sua moglie Ester fanno sul matrimonio. Non volevo che il lavoro diventasse troppo cerebrale, filosofico e algebrico al tempo stesso, e allora mi sono ricordato che l’estate è anche la stagione delle canzonette, delle hit estive, dei cuori che battono per cose senza importanza. Credo che tutto questo aspetto di leggiadra e piacevole sciocchezza sia da ricercare in questo “tu”.

Teresa, la ragazza del desiderio, è prima Lolita e poi Circe. C’è la corruzione del mondo dietro questo cambiamento o piuttosto si tratta di un’evoluzione che appartiene a lei e a lei soltanto?

La parabola di Teresa non è completa (come quella di nessun altro personaggio del romanzo), ma abbraccia una porzione di vita abbastanza significativa (quindici estati, perciò quindici anni). Abbiamo tempo per vederla crescere, corrompersi, come del resto capita un po’ a tutti, e in questo senso chiaramente la sua vita può essere lo specchio delle nostre, fornendoci una serie di spunti di riflessione. Riducendo l’arco temporale mi sarei potuto adagiare sull’archetipo di Lolita, e magari puntare a scandalizzare qualcuno. Ma non m’interessa creare scandalo. Credo che i miei lettori si meritino più di una storia pruriginosa.

A sentire il tuo protagonista, l’amore affinché possa definirsi tale non deve realizzarsi, ma rimanere in potenza, inesploso e inesplorato. Cosa diventa quindi questo sentimento quando si completa? L’amore che viene consumato in cosa si tramuta?

Ne Gli estivi ho rappresentato tutti i tipi d’amore, anche quello tra il protagonista e Lello in fondo lo è (“tutti i rapporti tra scrittore e editore sono storie d’amore” si legge a un certo punto). L’amore può sopravvivere al matrimonio, ma ovviamente cambia. Siamo sempre in movimento e i nostri sentimenti con noi. Bisogna accettare il trauma della fine del “per sempre”, se mi si passa il gioco di parole. Nel senso che un rapporto può durare anche per sempre, ma si modifica nel tempo, subisce profonde trasformazioni, e non tutte edificanti e belle, aggraziate e luminose.

E quello inesploso e inesplorato, invece? Verso cosa naviga l’amore irrealizzato? È destinato a rimanere invariato e a toccare le corde più sensibili dei cuori in gioco per sempre?

L’amore riesce sempre a restare inesplorato, o quantomeno non completamente esplorato. Questa chiaramente è un’arma potente che ha l’amore per sopravvivere a se stesso. Per il protagonista l’unico amore realizzato è l’amore irrealizzato, ma la sua è una prospettiva molto particolare, di un uomo che vive dentro un matrimonio solido, direi addirittura felice, che quindi ha desiderio e può permettersi d’inseguire le sue chimere. In questa ricerca affannosa, com’è naturale, sconta varie delusioni. Siamo dentro a un esperimento, una simulazione romanzesca di una possibilità amorosa particolare, al lettore non resta che leggere gli sviluppi.

L’amore è ossessione?

Sì, ma con il tipo di amore cambia anche il tipo di ossessione. Nell’innamoramento c’è l’ossessione della scoperta e del possesso, nell’amore nuovo c’è l’ossessione dell’amarsi di meno, di lasciarsi, di non essere abbastanza forti per proseguire, nell’amore stabilizzato (con o senza un contratto sociale, perciò sia convivenza che matrimonio) c’è l’ossessione della cura (e della trascuratezza), nell’amore avanzato infine c’è l’ossessione della delusione, di quanto e come ci si è fatto male, siamo stati un peso per l’altro.

Lello, piccolo editore romano e amico del protagonista, è un uomo amareggiato dalla vita. Per certi aspetti, rappresenta l’editoria artigianale. Quella che crede ancora nel libro come forma d’arte pura e non come mero prodotto di consumo. Il destino di questo personaggio, fortunato o sfortunato che sia, per te è lo stesso della piccola editoria?

Lello è una metafora vivente o, vista la sua stazza, si potrebbe parlare anche di metafora XXXL. È indubbio che per l’editoria indipendente la vita non sia facile, e la ricetta io non ce l’ho. Mi pare utile ricordare qui l’etica rigorosa di Lello rispetto al mondo culturale. A un certo punto dice: “L’etica non è distruggere qualcosa lontano da sé, ma qualcosa che si conosce davvero bene, che ci riguarda. Non bisogna fare la morale, bisogna farsela”.

Il tuo scrittore sogna spesso a occhi aperti. Sogni allucinati, accadimenti folli. È pura e semplice evasione, la sua?

Volevo superare l’istanza realista, così com’era già accaduto ne Gli autunnali. L’estate è una specie di sogno a occhi aperti, le temperature elevate ci sprofondano in un deliquio ininterrotto. Tuttavia c’è questa luce implacabile, che annulla le ombre, cancella quasi del tutto le ambiguità. L’estate vive dentro un ossimoro, perciò ho cercato di restituirla attraverso incubi esatti, deliri scrupolosi.

Più che spaventato dall’idea di invecchiare, il protagonista parrebbe incapace di farlo, e così si aggrappa alla vita che ha intorno. Mischia fantasie sconce a scenari immaginifici in cui si immerge per scappare da una realtà che lo tiene in pugno. E in questo Teresa è il suo feticcio preferito. Nel tentativo di fuga dalla gabbia quotidiana, e dalle carceri del matrimonio e dalle carceri di un impiego stabile e dalle carceri di una città che niente dà e tanto tempo toglie, ho scorto Pirandello. C’è un rifiuto, pure se embrionale, delle maschere che tanto gli furono care?

Se c’è una maschera- e c’è sempre una maschera, tutti noi ne indossiamo almeno una- ci sarà anche la voglia di vedere cosa c’è sotto, cosa la maschera cela. La maschera cioè non vale in se stessa, ma in quanto genera un rapporto tra sopra e sotto, tra esterno e interno, tra menzogna e verità. Ho letto una recensione de Gli estivi che finiva così: “Bisogna dirlo, i protagonisti di questo romanzo non sono simpatici”. Credo che il recensore mi facesse un rimprovero, come se Macbeth o Lady Macbeth fossero simpatici! Non è colpa mia se gli esseri umani sono per lo più storti, si confondono, spesso non sanno scegliere il bene e si lasciano sedurre dal male. Ecco, detesto quelli che intendono la letteratura come una edulcorazione della realtà. La letteratura è una sintesi, è un tentativo di ordinare il caos, è un modo per cercare un senso, ma non è una edulcorazione. La letteratura non è Vanity Fair.

Il romanzo è un inno alle occasioni mancate. Siamo tanto figli di quello che ci accade quanto di quello che non siamo stati capaci di realizzare – ma che abbiamo ardentemente desiderato?

Sì, è così. Sul piano strettamente esistenziale le sconfitte ci “realizzano” quanto le vittorie.

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