Aprile più di Marzo è stato un mese inteso e incerto, sia dal punto di vista meteorologico (un giorno piove e fa freddo, quello dopo c’è un sole caldo) che quello musicale: moltissimi nuovi dischi, alcuni riusciti, altri meno. Ecco, il nuovo album di Loyle Carner Not waving, but drowning, uscito il 19 Aprile, è come il canto di quegli uccellini che nonostante freddo e pioggia sentono già la bellezza della primavera e la cantano per noi ogni mattina.
Loyle Carner direttamente dal sud di Londra, ha pubblicato un emozionante secondo album, a cui ha dato lo stesso titolo di una delle poesie di Stevie Smith, creando uno spazio musicale in cui parlare con onestà del dolore, degli affetti e delle sue sfide quotidiane. Mentre il suo debutto era incentrato sulle difficoltà affrontate durante la crescita, dovute al suo disturbo da deficit di attenzione/iperattività, in questo disco troviamo un ragazzo più maturo, che conclude ogni traccia con un brevi clip audio della sua vita personale, chiacchiere e risate.
Carner non ha per nulla perso il calore umano che avevo reso così speciale il suo primo album, Yesterday’s Gone del 2017 ed è ancora capace di presentarsi come un puro narratore in questo seguirsi di canzoni disarmanti e private.
Il singolo You Do not Know, già in rotazione da qualche mese, vede la preziosa collaborazione di Kiko Bun e Rebel Kleff, ed è forse tra le tracce più R&B dell’album. Traccia dopo traccia non c’è però il ritmo veloce di alcune canzoni presenti nel suo precedente lavoro: questa volta Loyle ha trovato in un uso frequente del pianoforte un modo per guidare l’album.
Before every other fella I was hearing of
Back when the day would fade to grey when you were clearing off
‘Cause now I only make love if I’m in love
You wasn’t in love, then what d’you think, love?
I temi sono vari, dall’amicizia all’infanzia, dal dolore all’amore ma in qualche modo sono tutti molto personali. Si trova persino un accenno al suo più volte dichiarato amore per la cucina: due tracce prendono infatti il nome dei celebri cuochi Yotam Ottolenghi e Antonio Carluccio. Al di sopra di tutto ciò, si muove con un flusso facile, con toni aspri ma dolci.
Nella traccia numero tredici invece Loyle affronta in modo crudo il tema delle sue origini “miste”, che lo hanno spesso portato a doversi confrontare con il razzismo e l’incontro con il suo padre biologico con cui ha avuto solo pochi contatti durante la crescita.
E moltissime sono anche le collaborazioni: Rebel Kleff, Kiko Bun, Jorja Smith, Jordan Rakei, Tom Misch, Sampha… ma nessuno domina. Tutte le voci e i diversi sound che variano dal rap al jazz e alla soul music riescono a fondersi armonicamente fino a rendere ogni pezzo unico ma riconoscibile. Un po’ sottotono è forse proprio la collaborazione con Jorja Smith, cantautrice britannica, in cui l’iniziale lentezza non rende giustizia alle voci dei due artisti che in realtà si fondono quasi perfettamente.
I’m wettin’ the pen, every letter you send
Uh, I got a lot of love, a lot of loose ends(Way)
A lot of people that I wish I knew then (Way)
Friends beckon every second you spend(Way)
I’m wettin’ the pen, every letter you send
Il disco si apre con la canzone Dear Jean, una lettera a cuore aperto e forse inaspettata ad una donna che si chiama Jean, e proprio con una lettera si chiude lo stesso album. Letta sulla stessa base musicale della prima, come un cerchio che si chiude e si trova la sua completezza. Dear Ben, però, somiglia più ad una vera e propria poesia declamata da una voce femminile, quella della stessa Jean che abbiamo già conosciuto che non è altri se non Jean Coyle Larner, mamma di Carner.
Loyle Carner ha sempre fatto della sua arte un luogo in cui raccontare sé stesso e la sua vita, sempre includendo tutte le persone che ne fanno parte, dai suoi amici più cari alla sua famiglia. E forse questa intensità di contenuti è ciò che rende Loyle così vicino a chi lo ascolta: una sincerità personale nel raccontarsi nonostante le fragilità e anzi la capacità di trovare proprio in queste la sua forza.