La nuova avventura sonora dei Low

Un maestoso e distorto rumore apre HEY WHAT, il nuovo album dei Low. Il pezzo che inaugura il disco si chiama White Horses, nulla a che vedere con l’epica cavalcata dei Rolling Stones, siamo piuttosto davanti a un ulteriore sconfinamento sonoro dei Low, che dopo Double Negative continuano la loro ricerca del caotico sublime con dieci pennellate che ridisegnano ancora una volta il paesaggio sonoro della band statunitense. I Low hanno ormai all’attivo quasi trent’anni di carriera, eppure non hanno ancora perduto la curiosità e la gioventù per cercare strade e sondare suoni. Se il precedente Double Negative ci aveva sorpreso dirottandoci addirittura verso atmosfere industrial e dure, con HEY WHAT forse i Low azzardano meno ma trovano un’unità tra il loro passato e il loro presente, l’equilibrio sonoro che stavano cercando. Rumore e melodie si mischiano a voci e distorsioni, e il risultato è un cocktail distopico e frammentato di contrasti e armonie. C’è rumore, elettronica, palpitazione, c’è il richiamo al gospel e il ritorno alle origini, perché HEY WHAT è anche un doloroso viaggio sulle vie del suono che rievoca la genesi slowcore dei Low.

Così un pezzo come All Night è impressionante, basta il canto a dare i brividi con momenti addirittura beatlesiani, una ballata psichedelica che trascina in un’altra dimensione, decostruita attraverso sussulti e vibrazioni noise. Hey è addirittura maestosa: ti avvolge, ti schiaccia al suolo come una rovinosa caduta e ti rialza con le sue morsicature electro, ti culla con tutta la sua calda atmosfera slowcore, ti fa rinascere con un finale epico in cui pare di rivedere una luce. Tra luce e ombra ce ne andiamo bighellonando per tutto il corso del disco. Perfette le voci di Parker e Sparhawk a modulare questo contrasto di chiaroscuri, questa cupa odissea luminosa che è HEY WHAT. Cosa proviamo mentre ascoltiamo il nuovo album dei Low?, a quale frammento bisogna credere?, qual è la chiave per entrare nel disco. Sono tutte domande che possono venire in mente durante l’ascolto, ma i grandi dischi sono capaci di confondere continuamente le emozioni dell’ascoltatore, di scandagliarle, ridurle all’osso e farle esplodere, di ricomporre il disordine.

HEY WHAT è davvero un’altalena di saliscendi, proprio come il singolo Days Like These, che gioca molto sulla voce, si vizia e ci vizia di chitarre e silenzi, per arrivare a un cambio rotta quasi ambient. E allora non c’è nessuna chiave particolare per accedere al nuovo album dei Low, semmai ce ne sono diverse, la chiave che apre la porta di There’s a Comma After Still e quella che ci fa entrare nella bambagia calda e affusolata di Don’t Walk Away. Quella copertina così astratta ci sta dicendo qualcosa: è un invito all’ascolto, un enigma da sbrogliare. Ma proprio come quando si guarda una tela astratta e ci si abbandona alla pura visione, con HEY WHAT l’unica cosa da fare è abbandonarsi al puro ascolto, sentire il disco. Prendete una chiave, una qualunque, e fate un bel giro nella nuova meraviglia dei Low; ne varrà la pena.

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