“Avevo paura dell’amore, di essere portata via.
Chiunque abbia paura dell’amore ha paura della morte.”
(tratto da “Timor mortis”, Louise Glück, Nuovi poeti americani, a cura di Elisa Biagini, Einaudi, Torino 2006)
Si chiama Louise Glück, americana, figlia di immigrati ebrei provenienti dall’Ungheria, ha settantasette anni ed è la sedicesima donna a vincere il premio Nobel per la Letteratura. Affermata e stimata in patria come una delle massime poetesse viventi, Glück era, fino a oggi, pressochè sconosciuta a livello internazionale. Dopo un’adolescenza tumultuosa, con episodi di anoressia e l’addio agli studi universitari, Glück si è subito distinta nel panorama letterario americano per l’originalità e l’intensità dei suoi versi. L’esordio si colloca nel 1968 con “Firstborn”, a cui seguiranno i successi di “The House on Marshland” e nel 1985 “The Triumph of Achilles”. Nel 1990 è ancor più visibile la matrice biografica in “Ararat” (1990), raccolta che svela la propria sofferenza per la morte del padre. Ma un evento storico che l’ha resa protagonista con i suoi versi è stato l’attentato alle Torri Gemelle del 2001, a cui la poetessa ha dedicato il lungo poema “October”.
Is it winter again, is it cold again,
didn’t Frank just slip on the ice,
didn’t he heal, weren’t the spring seeds planteddidn’t the night end,
didn’t the melting ice
flood the narrow gutters
Degno di interesse è anche “Meadowlands” del 1997, in cui compaiono figure mitiche come Ulisse e Penelope all’interno di una scrittura originale, che racconta un matrimonio in bilico, con una fine già segnata, imminente. Il mito ritornerà abilmente rivisitato in “Averno” (2006), in cui si assiste a una progressiva discesa nel regno del Tartaro, con un lento ritorno alla luce. “Non sei sola / diceva la poesia, / nel buio del tunnel” commentava allora Glück nei panni di Persefone.
Nel 1993 le è stato conferito il Premio Pulitzer per la poesia per la raccolta “The Wild Iris” (“L’iris selvatico”, Giano, 2003), un autentico capolavoro in cui emerge la componente religiosa della sua poetica, senza disdegnare forme classiche come quella della laude. Un continuo e incessante dialogo con Dio, “unreachable father” e “dear friend”, che guarda e segue il mondo dall’alto e alla fine sentenzierà “Quando vi ho fatti, vi amavo. / Ora vi compatisco”. Un canto della sconfitta, un inno che denuncia la perdita di un Eden irrinunciabile e che eppure rievoca la necessità di un tu, di un interlocutore stabile. “I need you” conclude Glück. E il risultato di questa ricerca è raccontato da un bucaneve, che si ritrova vivo dopo l’inverno e che ricorda da lontano, capovolgendo i valori eroici e titanici, la ginestra leopardiana. Nel 2003 è stata proclamata “Us Poet Laureate”, con la motivazione che Glück “eccelle nel fare ciò che solo la poesia lirica può fare: imitare la musica peculiare del pensiero stesso”. Nel 2014 si aggiudica il National Book Award.
Louise Glück si aggiunge alla lista degli undici vincitori di nazionalità statunitense dell’ambito premio. L’anno scorso il Nobel, reduce dagli scandali, è stato assegnato sia per il 2018 che per il 2019 rispettivamente a Olga Tokarczuk e Peter Handke. Esclusi ancora una volta i nomi più gettonati, come quello di Margaret Atwood, della poetessa Anne Carson, continua il periodo di astinenza della letteratura italiana. Dario Fo rimane l’ultimo italiano ad aver ricevuto il premio nel 1997, che a sua volta era seguito, dopo ventidue anni di digiuno, al riconoscimento assegnato a Montale. Louise Glück rappresenta l’ennesima sorpresa della giuria svedese, che ha fatto tanto parlare dopo aver premiato Bob Dylan quattro anni fa. L’Accademia ha premiato l’autrice per “la sua inconfondibile voce poetica, che con austera bellezza rende l’esistenza individuale esperienza universale“. E pare che, stando alle parole del critico Robert Pinsky, Glück si stia preparando alla pubblicazione di nuovi, eccezionali versi.