La fine di un festival è sempre dolorosa: la musica si spegne, il sole sorge e bisogna tornare alle proprie vite con le gambe doloranti e poche ore di sonno. Eppure, nonostante la stanchezza, ricominciare è più semplice grazie al potere rigenerante della musica e della socialità: stare per giorni immersi nella natura assieme a migliaia di altre persone in festa è un’esperienza che difficilmente può essere raccontata (come si è può descrivere la bellezza esotica di un dj set nella giungla di bambù del labirinto vegetale più grande del mondo, come si può descrivere la sensualità e la dolcezza di Eartheater o la grazia divina di Caterina Barbieri avvolta da una nuvola di fumo, come si fa a spiegare l’energia e lo stile di Gabber Eleganza e di Lee Gamble, o dei Tamburi Neri?).
A distanza di qualche giorno dalla fine di LOST Music Festival mi chiedo che cosa mi sia rimasto della tregiorni, e penso che oltre alle conoscenze e alle nuove amicizie, alla presa bene e ai ricordi di performance ineffabili, rimanga la consapevolezza, e la speranza, che anche in Italia, anche in Provincia, si possa dare vita ad eventi del genere, in cui arte, ambiente e amore si combinano per il benessere (umano) delle persone.
Prima dell’inizio, l’organizzazione del LOST aveva detto che il festival sarebbe stato “una piattaforma di sperimentazione, dedicata alla creatività contemporanea in musica, un cantiere aperto che va oltre la semplice vetrina per divenire racconto polifonico capace di congiungere ricerca e arte in un’esperienza evocativa che prende forma in un luogo dalla forte valenza simbolica”. Direi che l’esperimento è andato più che a buon fine, e bisogna fare i complimenti a Mattia Amarù, ideatore e Direttore del festival, e a Luca Giudici, direttore artistico, per aver messo in piedi una manifestazione capace di accogliere nel migliore dei modi più di 3000 visitatori nel delicato e magnifico contesto del Labirinto di Franco Maria Ricci. Bisogna anche riconoscere, perché non è scontata, la risposta del pubblico stesso: tantissimi giovani hanno risposto con entusiasmo e rispetto alla chiamata e durante tutti i tre giorni della manifestazione, mentre nei tre palchi del Labirinto della Masone si alternavano le performance dei 40 artisti, ha regnato un clima di spensieratezza e di convivialità che per troppo tempo ci era stato negato.
Ho visto volti felici riprendersi il proprio spazio e il proprio tempo per vivere a stretto contatto e in armonia con gli altri e con la natura vertiginosa del parco. Ho visto negli occhi di una generazione la curiosità e l’energia con cui aprirsi ad un mondo nuovo e godere: della bellezza della musica e dello stare insieme, della bellezza dell’arte nascosta nel museo-mausoleo e nei dedali del suo labirinto.
Seguendo il filo di Arianna di neon e di fumo ci siamo addentrati nella selva di bambù e al ritmo dei bassi ci siamo scrollati di dosso i residui di un mondo sbagliato, che ci esclude, ci divide e ci atomizza. Ballando stretti, guardandoci, toccandoci abbiamo capito che ciò che vogliamo è possibile, dobbiamo solo prendercelo. All’ombra della Piramide il mondo nuovo sembrava più vicino.
Foto di Chiara Benzi