Parole e Immagini dal LOST Music Festival 2023

La scorsa notte non sono riuscito ad addormentarmi fino al sorgere del sole e, poi, mi sono svegliato in una pozza di sudore in preda al panico e preso da un forte senso di stordimento dettati dal ritmo della suoneria ansiogena dell’allarme di sicurezza nazionale. Giusto il tempo di controllare che nel nostro bel paese non fosse in corso nessuna invasione straniera, né che fosse esplosa qualche bomba H nelle vicinanze, cosa che in parte avrebbe giustificato il caldo apocalittico, e mi sono messo finalmente a lavorare al report del LOST Music Festival. La concentrazione regge giusto il tempo che si apra il programma di scrittura, dopodichè, sulla pagina bianca, cala il silenzio. Afa e canicola nella stanza, nella mia testa il vuoto. Inizio a scrollare alla ricerca di altre recensioni da simulare o, meglio dissimulare, ma non trovo niente di interessante. Cerco l’ispirazione fra le meravigliose foto che il fotografo mi ha appena mandato, e mi rendo conto che ormai da quel weekend è già passata una settimana. Può una settimana di lavoro (di quello vero, che fa male ai piedi e allo stomaco) farmi scordare di tutto quello che ho visto, sentito e detto durante la tre giorni? Basta veramente così poco a rendere vano così tanto? Con questo interrogativo in mente, mi metto a pensare.

 

In effetti, quella di quest’anno, cioè la terza edizione ufficiale del festival, è stata addirittura più grossa, a livello di numero di artisti, di palchi, di performance e, soprattutto, di pubblico, rispetto a quella del 2022. Sembrava che una marea umana, costituita nella stragrande maggioranza da persone educate rispetto alla situazione, con una certa esperienza nel mondo dei festival e dei party in generale, avesse (civilmente) invaso gli spazi del Labirinto, come se la rovente bassa parmense fosse di colpo diventata il place-to-be per inaugurare l’estate. Line-up da paura con una schiera di oltre 35 artisti internazionali, molti dei quali suonavano per la prima volta in Italia; palchi immersi nelle foreste di bamboo, oppure incorniciati dagli edifici neo-neoclassicheggianti del mausoleo di Ricci, all’ombra della poderosa piramide; gite e scappatelle nell'”Oasi” per riscoprire un qualche rapporto con la natura; e soprattutto il gigantesco campeggio con il prato all’inglese dove prima, dopo e durante gli show ufficiali andavano in scena le situazioni, forse, più divertenti.

Ma probabilmente tutto questo lo avete già visto. Come avete già sentito la musica di chi suonava o le opinioni dei vari reporter e influencer del settore, per quanto in streaming low quality e nei video verticali di qualcuno che non siete voi. Non serve sottolineare che nei giorni subito successivi a quelli del festival, il nostro social network più amato fosse sommerso di foto e video provenienti dal labirinto: meravigliose persone che ballano nella natura vertiginosa del Labirinto di Franco Maria Ricci al ritmo di bellissima musica. Un festival riuscitissimo sotto tutti i punti di vista: un paradiso per chi c’era, per chi non c’era l’ennesimo monito a comprare prima i biglietti per scappare, l’anno prossimo, al morso della FOMO.

 

A questo punto, per chi sta scrivendo il proprio report, un po’ per procrastinazione, un po’ come auto assolvimento, viene naturale domandarsi, non tanto cosa raccontare dell’evento, quanto più quale sia il senso del raccontare a parole quello che ormai è più comodo raccontare con un mp4 in presa diretta o con una galleria fotografica (la nostra Indiependente, la trovate a fondo pagina, tranquilli). E ancora, a chi raccontarlo, visto che a quanto pare eravamo tutti là, nel caldo di Fontanellato.

Qual è il senso di un festival? Non è una domanda retorica, voglio una risposta, ma credo che le risposte siano tante quante sono le persone che ci vanno ad un festival. E sono tutte valide e legittime. Riguardando i video nel mio telefono, e comparandoli con i 51 km che il contapassi integrato nello stesso strumento ha registrato fra il sabato e la domenica, mi verrebbe da pensare che io il senso l’abbia trovato nella danza. Ballare per ore ininterrottamente, disperso in una giungla di bamboo e di persone sudate, mi ha fatto dimenticare di ogni cosa, sia negativa che positiva: in quelle 72 ore che ora ricordo con difficoltà, ma che sono tutte salvate nella mia memoria muscolare e nel mio archivio uditivo, sono riuscito ad annullarmi nella musica, nel caldo, nella presa bene.

 

Inizio a credere che il senso di tutto questo stia proprio nella difficoltà con cui provo a ricostruire una narrazione lineare dei tre giorni del festival. Nell’assurdità di passare, nel giro di una notte, da un luogo fuori dal mondo e fuori dal tempo, nonostante sia praticamente dietro casa, al mio posto di lavoro e alle sue luci artificiali. Un’esperienza come questa tutto richiede fuorché un racconto lineare, poligonale e squadrato che metta ogni cosa al suo posto. NO, io voglio mantenere la caoticità di quei giorni, preservare la nebbia che ho in testa dalla troppa chiarezza della settimana lavorativa e del giorno. Io voglio dimenticarmi del mondo e smarrirmi nella giungla. Rimanere per anni a ballare nel bamboo, come quel famoso soldato giapponese a cui nessuno aveva notificato la fine della guerra.

Sì, lo so che ormai sono passati più di 10 giorni, forse addirittura il LOST non è nemmeno più un trend e ormai siamo già tutti in hype per il prossimo grande convegno musicale, ma perdonatemi: ho solo cercato di posticipare la sveglia quanto più possibile.

Segue galleria fotografica.

Foto di Alessandro Bandini

 

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