Andare in fondo alle paure, alle solitudini. Andare in fondo, oltre la luce di un’inclinazione, di un dono, di una passione. Attraversare le ombre, i segreti, l’indecenza, la sconvenienza, la nevrosi. Lo fa la scrittrice Giuliana Altamura con L’orizzonte della scomparsa, romanzo edito da Marsilio e da qualche settimana in libreria. Giuliana, classe 1984, è già autrice di Corpi di gloria, romanzo di formazione che in un’atmosfera californiana da anni Novanta mixa delicatezza e violenza, con uno sguardo che ricorda al contempo Sofia Coppola e Bret Easton Ellis. Il nuovo lavoro riconferma la peculiarità della voce di Giuliana.
Ritroviamo la sua scrittura sfavillante, la sua capacità di delineare personaggi che sembrano di cristallo, diafani nonostante il torbido, capaci di ferirsi da soli con il loro splendore. Christian è un pianista prodigio. Originario del sud Italia, si trasferisce a Milano, finché la sua carriera lo porta a Montréal e a Parigi. Lana è la pop star più sexy e conturbante del momento. Il suo agente la scova per caso, colpito da uno sguardo magnetico e destabilizzante. Le esistenze parallele di Christian e di Lana si incrociano sul web, dove entrambi si imbattono in Blaxon, un misterioso ragazzo che in molti ricercano sulle chat per lucidità e capacità di ascolto. La storia si evolve nella vita reale dei personaggi e in quella impalpabile, seppur determinante, del web e del deep web.
La bellezza di Lana e il talento musicale di Christian regrediscono, perdono brillantezza e vigore difronte alle insicurezze. I loro tentativi di essere altro da sé li insabbiano, fino all’autosabotaggio. Ma dal basso risaliranno verso le superficie e decideranno di abbracciare se stessi. Perché essere se stessi – se stessi veramente, niente di più, niente di meno – è una decisione, la più difficile e dolorosa tra le decisioni per un essere umano. Solo quando Christian e Lana assumeranno delle consapevolezze riusciranno a smettere di nascondersi tra le mille luci di internet, tra orchi famelici, artisti all’avanguardia, uomini e donne depressi, sconfitti e condannati all’ombra.
“Passi la vita ad avere paura di ogni cosa e quando smetti di averla senti che non ti resta più nulla di cui t’importi fino in fondo. È solo quando smetti di averla che puoi stringerla tra le dita, puoi chiamarla per nome. Era una forma d’amore che mi ancora alle cose” scrive ad un certo punto Lana.
I temi sottesi del tempo e del doppio rievocano mostri sacri come Virginia Woolf e Julio Cortàzar. Giuliana ha rischiato la banalità ma l’ha evitata con destrezza. Un lettore scafato si accorge della perizia che in questo libro sta dietro ogni frase, ogni dialogo. Le sfumature emotive, psicologiche sono così tante che c’è bisogno di lasciar sedimentare le parole. Lo scorrere della narrazione è apparente: la semplicità verbale si porta dietro la complessità. Una complessità che riguarda la società attuale e l’abitudine di scappare dalle proprie frammentazioni per paura di perdersi.