Lo scorso 23 novembre ha esordito su Netflix She’s Gotta Have It, la serie tv di quel genio incontrastato che è Spike Lee. Per le strade della sua Brooklyn sono state raccolte tutte le tematiche a lui care, dalla discriminazione di genere al razzismo. Ah, dimenticavamo: con lui è ritornata anche Lola Darling
Diverse volte mi sono scontrato con una dura realtà, ovvero quella che sancisce il giorno in cui inizia ufficialmente il classico weekend, croce e delizia di noi poveri comuni mortali. Per alcuni non c’è dubbio. Il weekend per eccellenza inizia il venerdì sera, lasso temporale che coincide perfettamente con l’uscita improcrastinabile dai luoghi di lavoro, per altri – fazione con cui ho qualche dissapore in merito alla questione, ma che non toglie il reciproco volersi bene – tutto ha inizio nel bel mezzo del sabato mattina. Tralasciando per qualche momento il fulcro di questo accesso dibattito, io che faccio parte di coloro che sostengono la causa del venerdì sera, ho dato uno strappo alla regola – ed è stato uno strappo abbastanza sofferto. L’inizio del mio scorso weekend è coinciso con il sabato pomeriggio. Oltre la prassi che mi riguarda, questa volta è stato difficile far rientrare tutta una serie di vicissitudini di cui mi nutro durante il tempo libero.
Preoccupato dalla mole di arretrati spropositati, mi sono detto «basta così, questa serie devo vederla subito». E se tutta quella roba di cui si nutrono i miei sogni – gli stessi che mascherano di non molto le mie aspirazioni – proviene da quella parte di Terra che non smette di bussare alla mia porta immaginaria sul mondo, allora la faccenda diviene assai spinosa. Non rinuncio mai a prodotti e opere che provengono da quel filone culturale d’oltreoceano – che è anche un po’ il nostro. In cima alla lista delle cose accumulate c’era proprio She’s Gotta Have It, la serie tv di Spike Lee che vede nel ruolo di protagonista un’eccellente DeWanda Wise.
She’s Gotta Have It è la riproposizione televisiva a più riprese di Lola Darling (1986), pellicola dello stesso Spike Lee che narra quella che poi sarà la storia della nostra protagonista, non a caso Lola Darling anche nella serie tv. Come al solito, quello che poi si è rivelato un bellissimo prodotto, è stato confezionato da mamma Netflix – o papà, fate voi. Disponibile sulla celeberrima piattaforma dallo scorso 23 novembre, la serie ha subito riscosso un certo successo di pubblico – successo prevedibile, dato lo spessore del suo regista. Non mi restava altro che premere play e fare in modo di assumere tutto d’un fiato i dieci episodi, ma alla fine non ci sono riuscito. L’impresa del tutto-in-una-notte fallisce miseramente una volta giunto al sesto episodio. Bene, anche io sto invecchiando.
FEMMINISMO
I rumors l’avevano già detto, in più c’era l’aggravante del film uscito più di trent’anni fa. She’s Gotta Have It è una serie tv che batte le strade del femminismo odierno, destreggiandosi con estrema capacità tra i punti cruciali di quello che viviamo ogni singolo giorno della nostra vita. Lola Darling è un’artista, una pittrice che vive in pianta stabile nella sua amata Brooklyn. Nell’appartamento di Fort Greene lavora alle sue opere, riceve i suoi soggetti – amici, per la maggior parte – e svuota tutte le sue ansie dovute alla ricerca spasmodica di un qualche sostentamento economico. È nello stesso appartamento che riceve i suoi tre amanti – che alla fine diverranno quattro. Quello che prende vita nel suo letto dell’amore, come lei stessa lo ama definire, non è affatto un semplice sfogo meramente sessuale, bensì una lotta mirata all’affermazione di sé all’interno di un contesto prettamente maschilista. I suoi tre amanti non perderanno tempo nel farla sentire una “sgualdrina”, chiedendo a tutti i costi un’esclusiva che Lola in nessun modo vorrà mai concedere a nessuno di loro.
La potenza del personaggio interpretato da DeWanda Wise sta proprio nella continua persistenza caratteriale verso il raggiungimento di un obiettivo reclamato a gran voce sin dalla prima frase annunciata in apertura del primo episodio. Le difficoltà e gli impedimenti di ogni genere si faranno vivi, spunteranno fuori da ogni angolo della città e in piena notte esploderanno addirittura in una molestia in piena regola. Non ci sono sconti per nessuno, tanto meno per i fedelissimi appartenenti alla corrente di pensiero del ma-così-è-troppo-esagerato. Spike Lee, con la sua notevole lente di ingrandimento, riesce a mostrarci solamente quella che è una piccola parte della realtà in cui viviamo. Perlopiù si tratta di uno spaccato di vita che interpreta il ruolo di megafono per il resto della società. Lola Darling chiede una libertà che va oltre al semplice sentimento, alla semplice emozione. Costruisce una degna impalcatura per quella che dovrebbe essere una riscoperta dei ruoli e dei generi, una riproposizione delle nostre vite che non si devono fermare davanti ai limiti della tradizione.
Inutile negarlo, Lola Darling è una guerriera.
RAZZISMO
È uno dei temi fondamentali della immensa produzione di Spike Lee. Come poteva mancare in She’s Gotta Have It? Appunto, eccolo servitoci su di un piatto d’argento. Lola Darling ha la pelle scura. I suoi amanti sono tutti di origine africana, compresi i suoi amici. La totalità della sua arte si basa proprio sul concetto di donna nera incastrata in un schizofrenico nazionalismo bianco. Oltre alla lotta per un’affermazione del proprio genere, Lola si ritrova a dover combattere contro lo spettro del razzismo che si aggira per gli Stati Uniti. Una realtà dissacrante avvolge i personaggi che si susseguono sulla scena, personaggi che portano i segni indelebili della discriminazione di cui sono vittime ogni giorno. Così vengono citate continuamente le figure imprescindibili del Black Power. Dalla politica alla letteratura, passando per il ruolo importante ricoperto dalla musica black.
In ogni episodio, tra un intermezzo narrativo e l’altro, compaiono a tutto schermo le copertine degli album che hanno segnato la storia della musica e della black vibes in particolare. Miles Davis, Prince e Louis Armstrong – per citarne alcuni. She’s Gotta Have it, oltre ad essere un inno acclamato che conduce verso una valorizzazione della condizione femminile, amplia i propri orizzonti critici fino a sfociare nella falla putrida del razzismo sempre più attuale. Collega due agenti purtroppo discriminanti – il genere e il colore della pelle – e da vita ad un disegno rivoluzionario della percezione attuale delle cose. Qualcosa del genere è stata anticipata anche da Insecure (Issa Rae e Larry Wilmore, 2016) su HBO, ma in quel caso è stata scelta la cassa di risonanza sbagliata, al contrario invece di quanto è avvenuto con la serie su Lola Darling.
BROOKLYN
Qualche anno fa, Spike Lee aveva invaso le pagine dei giornali americani per la sua presa di posizione contro il fenomeno della gentrification. Così, tra le tante cose, il regista afroamericano è riuscito ad inserire nella sua serie tv ciò che sta accadendo nelle grandi metropoli e nei suoi rispettivi quartieri. Non mancano le frasi spietate dei personaggi che definiscono un prodotto tipico di Brooklyn, oppure un appartamento, ormai non più accessibile come lo era un tempo.
La questione di Fort Greene diventa spinosa: Spike Lee mette in scena i confronti dialettici che avvengono quotidianamente tra gli abitanti del quartiere, evidenziando la disparità di classe – e sopratutto di razza – tra i nuovi e i vecchi residenti. I bianchi invadono le strade più importanti e i viali costeggiati da case di lusso, mentre agli afroamericani vengono riservati gli spazi popolari o dei condomini super affollati. Lola Darling vive nella sua casa di Brooklyn e spera in ogni modo di riuscire a vendere le sue opere per permettersi di pagare l’affitto. Qualcuno potrebbe rubarle il suo spazio, ovvero l’ambiente più intimo di cui siamo in grado si disporre. Certo, non è un clima da anni ’60, ma la situazione irrespirabile si fa sempre più insistente. La gentrificazione di un quartiere come quello di Fort Greene mostra anche l’altra faccia della medaglia, quella sottile particolarità adiacente al concetto di sfruttamento di ogni singola risorsa, per poi liberarsene quando quella stessa risorsa è ormai ridotta all’osso.
LOLA DARLING
Lola Darling è tutto questo. Spike Lee ha concentrato in una donna – un soggetto scritto già trent’anni fa e ampliato con tutta una serie di eventi recenti – le tematiche sociali che affollano le strade del dibattito attuale. Colpisce Trump ed elogia gli Obama, lancia frecciatine ad organizzazioni squallide come il Ku Klux Klan e apre parentesi su personaggi come Malcom X. She’s Gotta Have It è una serie ben costruita e questo lo si nota da frangenti che vanno dalla scelta dei personaggi fino allo stile di scrittura dei dialoghi.
Durante il mio anomalo weekend ho avuto la certezza che esiste la possibilità di fare tanto, anzi tantissimo, per questioni che ingenuamente definiamo delicate e che per questo meritano erroneamente un lunga e lenta gestazione, ma che in realtà sono pronte a tutt’altro tipo di attenzione. Nonostante le sue fragilità, Lola Darling è un uragano che travolge ogni cosa si trovi sul suo percorso. Di persone come lei ne è pieno il mondo.