Foto a cura di Caterina Basile
Fuori, una pioggia terribile e l’umido infame ci costringe ad entrare in sala bagnati e infreddoliti, bisogna stringersi con il pubblico per scaldarsi e in prima fila è abbastanza facile: sala piena e incredibilmente ansiogena per l’attesa. Dopo i sorprendenti e vivaci Cloud Control che ben oliano il pubblico (menzione di merito alla conclusiva e decisamente incisiva “Scar”), i Local Natives entrano in scena immediatamente con “Breakers” fusa a “World News”: impossibile non sbattere i piedi a terra per dieci minuti filati.
Assistiamo alla perfetta fusione tra coordinazione e divertimento: da un lato stacchi perfetti, batteria incalzante condensata con le progressioni sonore di basso e chitarra, abbracciate in una sincronia perfetta con il cantato e gli svariati cori; dall’altro lato è bello vedere Taylor Rice e compagni che si divertono sinceramente a suonare, scherzano tra loro, ridono, parlano di Via dei Fori Imperiali con il pubblico e ironizzano serenamente su Los Angeles. Il clima era meraviglioso sia sopra che sotto al palco.
Siamo ai primi venti minuti di concerto e il gruppo si lancia nella loro appassionata e accorata cover di “Warning Sign” dei Talking Heads, già presente nell’album di debutto “Gorilla Manor”: mai vista una reinterpretazione tanto sentita, divertita e urlata come questa; il pubblico strillava i famosi versi “I’ve got money now, I’ve got money now / Come on, baby, come on, baby” con divertito trasporto.
Da “Ceilings”, passando per “You & I” fino ad approdare a “Mt. Washignton” è una rincorsa senza freni nell’animo umano: le corde emotive che toccano i cinque componenti della band sanno essere profonde e devastanti, toccanti e commoventi. Bello constatare anche la loro valenza polistrumentale, lo scambiarsi di ruolo e di posizione, dalla tastiera alle chitarre fino alle percussioni, tutti interagiscono e cambiano strumenti, la prima voce diventa la seconda, poi un coro e poi di nuovo la prima.
Per fortuna non mancano anche i momenti più rilassanti e allo stesso tempo galvanizzanti, con “Airplane” e “Who Knows, Who Cares” a comandare un cambio di tono verso la seconda metà del live, intervallati dalle più serie e nostalgiche “Bowery” e “Columbia”. In ogni caso neanche un secondo di noia, solo trasporto e divertimento e i Local Natives giocavano consapevolmente con questi due sentimenti, alternandoli di proposito con cura e maestria in una scaletta studiata ad hoc.
La conclusione è stata degna di tutto lo spettacolo messo in piedi grazie ad una “Sun Hands” che è partita leggera e melodica, per diventare strillata e roboante, distruttiva e caotica: l’obiettivo di stupire sul finale è stato completamente centrato. L’unico vero problema è stato proprio il dover constatare che il concerto fosse finito, il ritornare al freddo e all’umido non allettava. L’unica consolazione è stata l’autobus notturno stracolmo del pubblico dei Local Natives che veleggiava verso Stazione Termini: ci guardavamo tutti, senza dire nulla, un po’ intimiditi, consapevoli di aver assistito ad uno degli spettacoli migliori di sempre.
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Setlist:
Breakers
World News
Wide Eyes
Warning Sign (Talking Heads cover)
Ceilings
You & I
Shape Shifter
Mt. Washington
Wooly Mammoth
Camera Talk
Airplanes
Colombia
Heavy Feet
Bowery
Who Knows, Who Cares
Sun Hands
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