Alcuni temi ci sono particolarmente cari, quelli che parlano del nostro tempo o del nostro stato d’animo. Di solito chiediamo alla letteratura di farsi carico del nostro tempo, per aiutarci a spiegare quello che non vogliamo capire. Inevitabile è che ad una letteratura stanca e remissiva corrisponda una società più distratta, persino incurante, almeno nelle questioni interiori. A volte, ad alcuni libri il compito che si sono dati è così lungimirante da poter assumere un ruolo di rappresentanti di un’epoca successiva. È questo il caso de Lo straniero di Camus, ad ormai 70 anni dalla sua prima pubblicazione, tanto elogiato quanto ancora, troppo, sconosciuto. Il suo valore, oltre a valere un nobel per la letteratura al suo autore, era stato già portato sotto la lente del cinema da Visconti e Mastroianni che, nell’omonimo film, avevano sottolineato l’assoluta pregnanza del tema nella nostra contemporaneità: l’assurdità dell’uomo nel vivere il suo tempo. Capita, però, che i tentativi, pur lungimiranti, non riescano a cogliere il bersaglio.
Il teatro Due di Parma, in occasione dei 100 anni dalla nascita dello scrittore scomparso a soli 47 anni in seguito ad un incidente stradale, gli ha dedicato un mese di eventi e spettacoli, noi siamo andati a vedere l’adattamento teatrale de Lo straniero, realizzato dalla compagnia di Franco Però, in anteprima nazionale. Scegliere di portare uno dei romanzi più controversi e complessi della storia della letteratura francese è già, di per sé, una scelta avventurosa, soprattutto in un paese in cui già si fa fatica a conoscere i propri talenti. Capita che questa poca conoscenza dei testi da parte del pubblico possa essere un vantaggio per una resa particolare (e parecchio reinterpretata) degli stessi, ottenendo un discreto risultato. Svalutando agli occhi di chi li conosce, però, la resa teatrale.
Nonostante una buona recitazione ci si trova davanti ad un testo stravolto, che risente un po’ della fatica che fanno i teatri a riempirsi in questo periodo, soprattutto di giovani. Si è perso l’aspetto dell’estraneità del protagonista, si è dato più spazio alla relazione amorosa tra Mersault e Maria, piuttosto che focalizzarsi sulla questione centrale, quel senso di assurdità che l’autore cercava di sviluppare prima della nascita de L’uomo in rivolta e de La peste. Camus ha voluto sempre rendere giustizia al senso grottesco della vita, nella versione più amara, l’ironia è sottile e non si carica di risate. Mi sono trovato spiazzato quando nello scambio di battute sull’amore e il matrimonio, tra la coppia, la platea si è scomposta in risate, ma la valutazione mi sembra fin troppo di natura letteraria. Il vero problema, forse, è nel pubblico che non capisce come il testo nasconda significati ben più doloros, ma agli attori, e al regista, sta il compito di rendere il senso delle parole da cui si ricava l’ispirazione.
In sostanza lo spettacolo è gradevole, a volte disinteressato, e non cede nel grande luogo comune di guardarlo sotto l’ottica esistenzialista. Come già detto, delude un po’ chi conosce l’opera letteraria di Camus, ma soddisfa chi lo conosce più superficialmente. Ciò che è importante è il fatto di darne spazio, sperando che qualcuno, poi, sarà spinto ad approfondire il testo. Lo spettacolo si allinea perfettamente all’idea del progetto, far conoscere Albert Camus, non soltanto perché premio Nobel ma, soprattutto, perché tra gli scrittori che più hanno compreso il tempo in cui stiamo vivendo ancora oggi.