La parola “coerenza” ha un numero impressionante di significati: in botanica si dicono coerenti gli organi appartenenti ad uno stesso verticillo, i quali sono più o meno fusi insieme, o anche semplicemente di organi strettamente ravvicinati così da sembrare saldati insieme; nella logica matematica, si dice di un sistema in cui non è dimostrabile nulla di contraddittorio, quando cioè non sono dimostrabili contemporaneamente un’espressione e la sua negazione; in petrografia, di roccia composta di elementi granulari cementati tra loro, e perciò dotata di coesione.[1] Nella cinematografia inglese, credo che il termine possa tranquillamente rappresentare l’operato artistico di Ken Loach meglio di qualunque altro. The Spirit of ’45 non è un film celebrativo sul partito laburista inglese, come si è detto e scritto altrove. La coerenza critica e intellettuale di Ken Loach non potrebbe mai ridursi ad una simile ristrettezza. The Spirit of ’45 è piuttosto la descrizione dell’animo propositivo di una nazione uscita dalla guerra, certamente vincitrice, ma sconcertata e segnata dalla miseria e dalla mostruosità dei trent’anni precedenti. La paura che potesse ritornare l’Inghilterra degli anni ’30, quella povera del primo dopoguerra, si avvertiva sulla pelle di tutto il popolo, in particolare si leggeva nelle espressioni spaesate degli appartenenti alle classi subalterne e dei militari che ritornavano dal fronte.
Lo storytelling del documentario è costruito attraverso la narrazione diretta non dei protagonisti storici del tempo, ma con i racconti e i ricordi delle persone che hanno vissuto negli slums inglesi, minatori, operai e operaie, trasportatori, infermieri e infermiere, pulitori, portuali ma anche medici e sindacalisti. Queste persone, accuratamente scelte, hanno tutte una caratterizzazione molto visibile: ognuno di loro ha una storia di vita che può essere tragica o felice, ma senza dubbio con le loro rughe, con i loro balbettii, con le loro esperienze familiari e lavorative, incarnano la difficile storia vera di una nazione che aveva la necessità di costruire e di uscire dalla miseria. Le vicende storiche seguono un ordine sia cronologico che tematico: si parte dal resoconto della povertà prima della vittoria del Partito Laburista del 1945, della tragicità della vita negli slums infestati dagli insetti e dai pidocchi, della costante presenza della morte che aleggiava attorno ai minatori inglesi, della difficoltà di pagare i medici e le medicine fino alla situazione di precarietà dei lavoratori occasionali nei porti. La frase che viene pronunciata dai leader del partito laburista, e che ritorna per tutta la pellicola, è proprio l’essenza dello spirito del ’45: «Abbiamo prodotto tanto per la guerra, ora possiamo lavorare altrettanto per la pace. » Questa frase viene fatta pronunciare spesso anche al “popolo” e ai militari che ritornavano dalla tragedia della guerra. Di fronte a tanta miseria bisognava trovare il modo di ricostruire e di farlo in maniera collettiva, anti-individualista, con la proiezione di una società più equa e altruisticamente laboriosa.
Con la vittoria del Partito Laburista nel ‘45 avvengono svolte di portata epocale: dall’importantissima istituzione del National Health Service (servizio sanitario nazionale) alla nazionalizzazione delle miniere, dalla costruzione e all’assegnazione delle case popolari alla creazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato per i portuali, i pulitori e altre categorie. Commovente la descrizione di un minatore in pensione che ricorda il momento in cui ha ricevuto la casa popolare: «avevamo una casa con un gabinetto interno e un giardino: credo sia la cosa più bella che mi sia mai capitata», dice balbettando. Ma come già detto, Ken Loach non ha scritto una parabola positiva del partito laburista. La sua coerenza e onestà intellettuale che lo accompagna da tutta una vita glielo impedisce. La critica che viene fatta al partito laburista è molto pesante: alcuni lavoratori minerari si sentono oltraggiati dalle nomine all’interno dei cda della società mineraria nazionale (una parte degli ex-proprietari minerari finiscono a ricoprire ruoli chiave, fino alla presidenza), spesso l’assegnazione delle case richiedeva anni ed anni di attesa, l’azienda sanitaria nazionale non era sotto il controllo dei comitati locali (come era stato propagandato) ma accentrata a livello nazionale.
In sostanza, Ken Loach rimprovera alla grande operazione riformista di essersi limitata al semplice passaggio da una burocrazia aziendale ad una burocrazia statale, tralasciando i sofisticati propositi di collettivismo che erano l’incarnazione dello spirito del ’45. E come in una storia ciclica, alla fine si torna all’inizio: viene mostrata la distruzione del welfare state che era stato creato in quegli anni e si assiste al ritorno delle condizioni di povertà e disoccupazione. Margaret Thatcher prende nelle sue redini lo Stato, lo trasforma in una macchina per lo sviluppo del capitalismo sfrenato grazie alle influenze di economisti quali Friedrich von Hayek e Milton Friedman e si ripresenta la tragedia della precarietà per i portuali, per i pulitori e le infermiere, alla privatizzazione dell’acqua e ai suoi costi, alla chiusura delle miniere, al dilagare nuovamente della disoccupazione: si celebra la morte dell’impostazione Keynesiana e viene fatta passare per una festa in nome della libertà. È la fine dello spirito del ’45. In questo momento tragico dell’economia mondiale, dove il capitalismo neoliberista ha chiaramente fallito ma con omertà si continua a far finta di niente, Ken Loach ci dà una lezione molto forte: attraverso la commozione e le lacrime di gioia dei disoccupati e i subalterni per la vittoria del Partito Laburista del ’45, egli ci dice di recuperare quello spirito collettivista di socialismo democratico che aveva caratterizzato l’Inghilterra nel secondo dopoguerra, di distruggere lo stra-potere finanziario e l’individualismo sfrenato e rimettere, con fatica e sudore, al primo posto la società nel suo complesso.
———————————————— P.S. Un passaggio che va sottolineato è la rivalutazione che Ken Loach opera della figura di Ernest Bevin: il fautore della nazionalizzazione delle aziende ospedaliere, l’artefice pratico di quello che diventerà il National Health Service che, nonostante tutto, funziona ancora. Ken Loach sostiene, per bocca di una testimone del tempo, che la sua figura sia stata fatta a pezzi dai media, eccessivamente demonizzata anche grazie agli interessi delle aziende di assicurazione sanitaria e di chi avesse progetti di profitto in quel settore.