L’insincerità del voto utile.

C’è un momento in cui ogni uomo esercita la sua libertà e il suo status di cittadino, noi siamo fortunati, ci capita circa ogni due o tre anni, quando un governo cade, nell’attesa che questo accada viviamo tranquilli. Non dobbiamo nemmeno versare del sangue, ci basta uscire in macchina e recarci in quel posto che chiamano sede di seggio. Certo, non è l’unico modo per sentirsi cittadini, ma ce l’hanno raccontata così.

 Quando iniziano ad apparire i primi volti noti sui programmi televisivi e sui cartelloni pubblicitari nelle nostre stazioni ferroviarie, capiamo di esserci vicini, perché la campagna elettorale è cominciata e, col gusto del macabro che ci contraddistingue, iniziamo a parlare di elezioni, a pensare a chi votare, a vedere i teatrini politici che vanno in onda. Iniziamo ad etichettarci come elettori di destra, di sinistra, di centro, indecisi o come voti da accaparrare. Partono i messaggi, le promesse, arrivano i programmi, le alleanze e tutti gli strumenti che distinguono una battaglia per la poltrona da un democratico confronto di idee. Noi, purtroppo per qualcuno, ci siamo in mezzo. Perché il nostro amico fa parte del partito, perché nostro padre è un operaio dell’Ilva, perché nostra madre è una casalinga, perché nostro fratello è precario, perché noi non sappiamo da che parte andare. Non c’è da sorprendersi, ce la raccontiamo così, e ci sembra di interessare a qualcuno per pochi mesi.

 E, poi, arriva il voto utile, che sembra un’ancora di salvezza dalle decisioni forti, caldeggiato dai grandi partiti, perché uno dei due è il male, ma se lo dicono a vicenda, e non capiamo chi tra i due abbia effettivamente ragione. Abbiamo paura del passato, ma non sappiamo sceglierci un futuro, non sappiamo quello che vogliamo, ma sappiamo chi non vogliamo, come una donna che fuma in gravidanza sperando che il figlio nasca sano. E, allora, questa dialettica mediocre, da politica di basso rango, è ciò che ci può rendere la vita più facile. Votiamo contro qualcuno, non votiamo perché ci crediamo, cerchiamo la soluzione più indolore per perseverare in un clima di stasi, come una droga che possa acquietare la tua coscienza civica e che si ripresenti solo alla prossima tornata elettorale, se poi tutto va male, la colpa è loro, «io non ci credevo, l’ho fatto perché, dopo vent’anni di Berlusconi, non se ne poteva più». In fondo, cosa si può fare di diverso, non votare è buttare via un tuo diritto, come ti diceva tuo nonno, e la scheda bianca è lasciare decidere gli altri, ed è una cosa da ignoranti. Ma anche il voto utile lo è. Il voto utile è accondiscendenza ad un potere forte, è paura del progresso, è annullamento del valore della libertà, è dare una mano con speranza a chi sai che ti deluderà. Se vuoi votare, vota in quello in cui credi, e se non c’è niente, credi almeno in te stesso e nel fatto che comunque stai scegliendo a chi affidare il tuo futuro, votare è ben di più che barrare un simbolo su un foglio. Non se ne esce vivi dalle elezioni, perché per quanto il voto possa essere segreto, qualcuno ti dirà che hai sbagliato, qualunque parte tu abbia preso. Che tu abbia annullato la scheda per manifestare la tua rabbia, che tu sia andato a sinistra quando pensavi di essere di destra (che cosa vorrà dire poi) ma, votare, è sempre prendere una parte più di chi preferisce andarsene al mare a Febbraio.

 Il voto utile è una macchina raggrinzita, quanto i partiti politici che lo usano. In assenza del migliore vota il meno peggio, ti dicono, che tanto, peggio di così non si può andare. Ed è una macchina che funziona perché in qualcosa devi pur credere, da quando si sono ammalati anche gli ideali. Ed anche essere contro il voto utile è una soluzione a metà, ma si tratta di sincerità verso se stessi, quella che dovrebbe entrare nella testa di tutti, che il voto è utile non se lo dai alla persona che ti dice essere giusta, ma se, dentro di te, la ritieni tale. Abbiamo quello che ci meritiamo ma, forse, non lo sappiamo neppure noi, quello che abbiamo. Se la disillusione è quello che ci ha lasciato in eredità la storia di questo paese non vuol dire che si debba essere sciocchi. È nella disillusione che nasce il cambiamento, perché poi, una volta che tutto avrà seguito il suo corso, e un nuovo governo avrà scelto i suoi ministri, bisognerà pur chiedersi se si possa continuare in questa direzione, in cui non è il migliore a vincere ma soltanto chi, secondo utilità, ti ha fatto meno schifo.

D’altra parte, non nutrivano per gli eventi pubblici neanche quell’interesse minimo per capire che cosa stava succedendo. L’incapacità di comprendere salvaguardava la loro integrità mentale. Ingoiavano tutto, senza batter ciglio, e ciò che ingoiavano non le faceva soffrire perché non lasciava traccia alcuna, allo stesso modo in cui un chicco di grano passa indigerito attraverso il corpo di un uccello.

(1984 – George Orwell)

[Questo articolo non vuole avere una certezza scientifica, né offendere chi vota con ragione, chi ci crede, chi non si sente riconosciuto, la riflessione non è sul voto utile ma sull’utilità di un voto, per una volta, sincero.]

 

 

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