Sofia Coppola, la regista più pop della sua generazione, ritorna dietro la macchina da presa nel tentativo scomodo di proporre un nuovo adattamento cinematografico del romanzo A Painted Devil (1966) scritto da Thomas P. Cullinan.
E L’inganno, nuovo nel suo punto di vista al femminile, non si sottrae certo nel generare argomento di discussioni e perplessità; forte delle tematiche e di uno stile, quello della Coppola, ormai assolutamente peculiare.
1864. Terzo anno di guerra civile in Virginia. Il caporale nordista John Burney (Colin Farrell) viene ritrovato sanguinante, a causa di una profonda ferita alla gamba, da una giovane allieva di un collegio femminile nei paraggi. Malamente sorretto dalla fanciulla, insieme fanno ritorno all’istituto gestito dalla solenne Miss Martha (Nicole Kidman) e abitato da poche altre ragazze di età differenti. Qui il soldato trova cura e riparo, e nell’assicurarsi una convalescenza lontana da un guerra di cui si odono solo deflagrazioni lontane, inizia il destabilizzante gioco all’inganno, alla seduzione, di pedine mosse da istinti riscoperti.
La presenza del soldato, carne fresca e nuova in un microcosmo ormai cristallizzato in dinamiche stabilite, dà genesi ad animi di invidia, gelosia, a scaltri e sottili atti di sfida tra le donne del collegio. E ognuna subisce il fascino del giovane e ne vive l’attrazione in modo affine alla propria età. Dallo schiamazzo imbarazzato delle prime infatuazioni delle più giovani, agli atti di seduzione della diciassettenne Alicia (interpretata dall’iconica Elle Fanning) il cui potere ammaliatore è ormai chiaro; dall’illusione d’amore della repressa Edwina (Kirsten Dunst), alla tragica rigidità della direttrice risvegliata da un bisogno erotico che non bada all’età.
La squadra di donne si ritrova scoperta, in uno stato di tensione dichiarato che, però, si percepisce solo a tratti. E qui che L’inganno e la mano di Sofia Coppola risultano manchevoli. La diramazione repentina di sentimenti conturbanti, di fantasie erotiche appare invece lenta, trattenuta. I personaggi della Coppola si rivelano, per la prima parte del film, quasi privi di corposità. Pedine cave soggette ad azioni utili alla narrazione, allo svolgimento inevitabile della scrittura. Figure sfuggenti la cui umanità dovrebbe esplodere nel modo più torbido e diretto, quindi comprensibile, che restano incastonate in un edificio perfettamente confezionato.
Neanche il soffermarsi attento dell’occhio della Coppola negli squadri delle protagonisti, nelle inquadrature delle mani riescono a dare costanza al tono dei personaggi, pur riuscendo a renderli perfettamente coerenti con l’elegante contesto ambientale in cui si muovono.
Infatti in uno stato di aperta guerra sanguinosa ma esterna, che non fa mai la sua comparsa all’interno della pellicola, la Coppola dipinge magistralmente un quadro spazialmente e temporalmente isolato. Con una dedizione ai paesaggi, agli ambienti interni, ai dettagli preziosi simbolo di aperta rivalità femminile che rendono L’inganno una pellicola di squisita ma talvolta immobile eleganza. Impreziosita dai fasci di luce giostrati da Philippe Le Sourd.
Ma è il buio che scuote improvvisamente il film, lo ridesta, accompagnato da un sonoro finalmente pesante e ripetitivo. E l’ultima mezz’ora ci trascina in modo inaspettato quanto atteso nel capitolo finale della tragedia. Esplodono gli impulsi animaleschi, liberati dall’immobilità protratta. O forse solo dall’illusione della stessa.
L’inganno potrebbe non essere solo quello perpretato da John Burney ai danni delle donne. È la Coppola stessa che instilla alla fine il dubbio. Che la piattezza costruita sia stata solo una percezione perfettamente e volutamente suggerita? Un terreno necessario e coerente su cui i semi di cupidigia avevano bisogno di tempo per innestarsi in attesa dell’ultimo, spietato e aperto tradimento. E della conseguente vendetta.
Nel finale che chiude il cerchio, in uno schieramento femminile perfettamente ricomposto, purificato dall’elemento turpe, si resta attoniti.
Il film della Coppola, la cui natura soggetta essa stessa a un gioco di luci e ombre, sfuggente come spesso sono i personaggi, suscita sì perplessità, territorio fertile di speculazione, ma anche un’inspiegabile fascino. Nell’azione spontanea di decodifica delle immagini, di una critica al prodotto, si resta in qualche modo incastrati nei suo nodi.
E districarli tutti richiederà forse molto tempo.