Il primo Life is Strange, alla sua uscita nel 2015, ha segnato un nuovo sviluppo all’interno del mondo dei videogame e della narrativa. Nel suo modo particolare di raccontare qualcosa di paradossalmente molto banale, la vita di Maxine una qualsiasi teenager americana, il rapporto con la scuola e gli amici, e di riuscire a raggiungere un successo commerciale piuttosto elevato, aveva sorpreso un po’ tutti. Life is Strange è un gioco terribilmente complesso per le sue dinamiche interne, in cui il giocatore agisce sui dialoghi tramite scelte che influenzano direttamente il corso della storia, scevro di quell’appeal di un pubblico che cerca spesso lo straordinario e l’imprevedibile, quando non il totale distacco dalla vita di tutti i giorni. Come catalizzatore della ricerca del fantastico, il dono di Maxime di riavvolgere il tempo, elemento non da poco ma che costringe, contemporaneamente, chi gioca a rielaborare ricordi e dialoghi già fatti per tutti gli episodi che lo costituiscono. È un’attenzione spropositata quella che richiede Life is Strange, decisamente fuori dall’entertainment classico che, da sempre, punta a un pubblico composto in gran parte dai più giovani. Il suo maggiore pregio è stato proprio questo, riportare l’interesse verso la normalità in chi cerca di distaccarsene, accattivarlo e, probabilmente, non lasciarlo solo. Non renderlo più quella sostanza passiva e intrattenuta, ma parte del processo. Basi per un teorema che era già stato inquadrato da Federico Nejrotti, in un’uscita su quel bel progetto che è stato Prismo. Per queste ragioni Life is Strange: Before the Storm (la tempesta su cui si apre il gioco e che costituisce il punto centrale del suo predecessore), ambientato tre anni prima, si appresta a essere ancora più estremo nella sua giocabilità. L’elemento magico, trattandosi di un prequel, non è più disponibile ma corrisponde piuttosto al suo contrario. Ogni scelta non è più modificabile e questo crea una catena di conseguenze invariabili che rendono l’esperienza probabilmente infinita. La vita vera, insomma, senza rewind e quick saving con cui ripartire. Introdurre un senso come quello della responsabilità è un azzardo notevole, fin troppo estremo, che evidenzia l’imposizione di un nuovo stile narrativo all’interno dei videogames, ambito già esplorato nella lunga tradizione delle graphic adventure, ma mai in grado di concedere al proprio giocatore un brivido di liberà simile a quella di Grand Theft Auto o The Sims che, però, non ha al suo centro la storyline. È interessantemente paradossale il fatto che proprio la vita, quella da cui cerchiamo costantemente una pausa, in fondo sia la cosa che ci attrae di più e che costantemente cerchiamo di replicare.
In questo spaccato in cui Chloe Price, l’ex amica di Maxine che costituisce uno dei punti focali del gioco del 2015, diventa la protagonista, si inserisce la colonna sonora curata dai Daughter, che si calano per la prima volta in un ruolo come questo dopo 4 EP e due album. L’immaginario della band di Elena Tonra e Igor Haefeli, del resto, si fonda su quel carattere di malinconia giovanile dei nostri anni, che restituisce una nostalgia autentica e di incanto in determinati momenti (Lovesick S01E06). In Music from Before the Storm ci troviamo davanti a qualcosa di diverso, una ricerca di indipendenza in una duplice narrazione che funziona «anche al di fuori del gioco, che stesse in piedi da sola, che facesse quel miglio in più» come dice Haefeli in un’intervista. Music from Before the Storm è potenzialmente il disco post-rock dei Daughter, lo è per gli strumentali duri che si superano, uno con l’altro, aderendo a scene precise o direttamente ispirate da quello che hanno giocato e letto, ma che colpiscono anche chi arriva da fuori. Puoi facilmente sovrapporli e tagliarli, o incastrarli dove meglio preferisci. Brani che si autosostengono e prevedono diversi passaggi che mano a mano si rivelano nella delicatezza sonora da sempre marchio di fabbrica dei Daughter. Una linea che improvvisamente si impenna, fra la scelta giusta e quella sbagliata, le indecisioni e gli errori che si riparano solo con pazienza, ingredienti adatti per accompagnare una storia come quella di Life is Strange.
È difficile non dare il beneficio del lieto fine davanti a brani come Hope, un’altra di quelle caratteristiche legate alla vocalità della Tonra, che nei concerti esplode nel suo concentrato di dolcezza, in cui ogni struttura, anche la più oscura, diventa accogliente. Così come accade nelle canzoni A Hole in the Earth o Burn it Down, dalle parti più profonde degli echoes, strada esplorata nel precedente Not to Disappear che qui ritorna come un avvertimento: «Momma told me all of this is / Just a place we have to settle for / Less than anything we dream on / We’ll continue to be disappointed» il cui seguito, Flaws, riporta ancora il momentaneo momento di aggiustamento prima della risalita (Hope: «Go back to where I held armour against my skin / Won’t sink, I swim towards the storm / And once again I’ll be reborn, reborn, reborn»). Il legame col videogioco si consolida ma gli sfugge continuamente. Music from Before the Storm è il disco post-rock dei Daughter, l’abbiamo già detto, ma lo è ancora di più perché è in tutto e per tutto un disco solido, che affascina e si libera da solo, facendo scendere chi ascolta e chi gioca in un nuovo grado di complicità, lo stesso effetto che ha portato Life is Strange a diventare il titolo che si è guadagnato.
Quella dei Daughter non è la prima collaborazione musica-videogames, ci si era già cimentato Neil Davidge, produttore dei Massive Attack, con Halo 4 e poi gli Health per Max Payne 3, e così tanti altri, ma Music from Before the Storm si trova in una tappa successiva. Una comunione totale in grado di non lasciarsi chiudere al suo interno. Un disco prima di tutto, la cui fonte di ispirazione è tutta sotto i nostri occhi, come le vite di Chloe e Maxine e, probabilmente, la nostra che non ha mai un rewind, ma necessari momenti di rivalutazione.