Libri dal 2024. Ripercorriamo l’anno appena passato con una manciata di libri, senza ordine o classifica. Moltiplichiamo gli sguardi, carichiamo l’immaginario furgone di letture, e andiamo. Verso il nuovo anno. Con un augurio.
Agustina Bazterrica – Cadavere Squisito
traduzione Francesca Signorello, Eris
Nel futuro prossimo immaginato dalla scrittrice argentina Agustina Bazterrica la sostenibilità dei consumi alimentari passa solo per una soluzione: il consumo di carne umana. Con questo shock iniziale si apre “Cadavere Squisito”, romanzo del 2017 pubblicato in Italia da Eris nel 2024, nella traduzione di Francesca Signorello. Gli animali sono estinti per sempre e l’unica soluzione a cui si riesce pensare è l’apertura dei macelli a capi umani privati della voce, ma non dei sentimenti. Marcos, il protagonista, lavora proprio in un macello, unico vegetariano tra i capi e i dipendenti, ed è un uomo tormentato dal passato familiare oscuro e da un presente immorale, ma incapace di agire fino a quando il caso combina per lui un incontro che gli cambierà la vita, ma solo quel tanto che basta per pulirsi la coscienza. “Cadavere squisito” è la trasposizione feroce e fedele del sistema capitalistico che permea la società contemporanea, una metafora eccezionale di ciò che siamo diventati come collettività e diventeremo se la sopraffazione e l’ipocrisia continueranno a essere normalizzate.
Alessia Ragno
Santiago Lorenzo – La Voglia
Traduzione di Elisa Tramontin, Blackie Edizioni
Tra i libri di questo 2024 ho il piacere di citare il romanzo “La Voglia” di Santiago Lorenzo. “La Voglia” è il terzo libro tradotto e pubblicato in Italia dell’autore spagnolo dopo “Gli Schifosi” e “I Milioni” tutti usciti per Blackie Edizioni. Mi sono fatto questa perniciosa idea per cui in fondo tutti i libri parlino di una cosa sola e di come questa cosa sia la morte. “La Voglia” parla fondamentalmente di sesso, il che lo rende, a tutti gli effetti, un ottimo candidato per essere un libro che in verità parli di morte. Se tendenzialmente la narrativa, così come il cinema, o in generale quelli che sono i linguaggi della finzione hanno teso verso una ipersessualizzazione, ipertrofica o nelle descrizioni o nelle frequenze, Santiago Lorenzo parte da quella che è una privazione. Essendo privazione eterodiretta non si colloca all’interno dell’alfa privativo dello spettro del’asessualità di un personaggio, bensì ricade all’interno di quella forzatura che da una parte ripone nuova attenzione sulle letture Maslowiane, dall’altra si affaccia su quell’abisso del fenomeno Incel & Bros senza fortunatamente strizzarvi l’occhio. A salvare dal soffocamento vi è infatti sempre quella cosa lì: il possibile. Il protagonista passa da una castità involontaria lunga tre anni (suvvia un po’ di pazienza e che sarà mai) all’apertura in un senso diciamo plurisemantico, fisico/metafisico. Lorenzo ha un linguaggio semplice, non si perde in architetture complesse, si percepisce la sua voglia di raccontare una storia e di portare alla luce la nascita dell’improbabile: il troncamento del desiderio da parte del desiderante proprio davanti alla possibilità di realizzazione. Intorno a questo contesto si sviluppa una storia che parla della chimica del legno, del rapporto padre/figlia, di cosa significhi avere degli amici e cosa dei colleghi e non per ultimo l’avere una sorella ingombrante quanto uno specchio delle dimensioni della tua unica via di uscita. Di amore e di amori, se proprio vogliamo dirla tutta. Che in fondo una piccola morte è.
Antonio Gatto
Yu Hua, La città che non c’è (Wencheng)
traduzione di Silvia Pozzi, Feltrinelli
Ho incontrato Yu Hua alcuni mesi fa al Salone del Libro di Torino. Quando si scrive di un libro, questa dell’incontro può riferirsi a un’espressione figurata, invece l’ho visto proprio di persona, due volte in due giorni consecutivi. La prima, era seduto di fronte a una fila lunghissima di ragazzi di origine cinese in età scolare o universitaria, che poi si sono riversati nei padiglioni facendomi pensare di essere ancora alla Fiera del Libro di Taipei. Vedere centinaia di adolescenti riunirsi intorno a uno scrittore di classici, piuttosto che a uno youtuber, con il suo libro in mano per l’autografo, mi aveva scioccato. L’ho rivisto il giorno allo stand di un quotidiano, e incuriosito, mi sono fermato a sentire di cosa scrivesse: ho riconosciuto subito lo sguardo acuto e la voce pacata di un grande scrittore. La città che non c’è era appena uscito, l’ho preso al volo e divorato. A seguire ho recuperato i libri di Hua disponibili in italiano, innamorandomi della sua capacità di raccontare la Cina in diversi momenti storici attraverso personaggi che non hanno niente di straordinario, se non la capacità di vivere eccezionalmente la propria quotidianità. Wencheng è forse il suo libro più occidentale nell’impianto, ma anche quello che mi è piaciuto di più: con la maturità, l’autore ha raggiunto la raffinatezza narrativa di un Garcia Marquez, di cui ha ereditato anche la capacità di descrivere crudeltà e violenza con ironia. Si ride e si piange, ci si strazia e sorprende, mentre il fiume della storia di un impero che cade travolge il microcosmo dei suoi personaggi con la foga di una tempesta di neve. Hua racconta la morte con la delicatezza di un raggio di sole: non mi capitava da anni di fagocitare 300 pagine in quattro serate.
Francesco Chianese
Antonio Franchini – Il fuoco che ti porti dentro
Marsilio
“Angela non è bellina, è tutto ma non bellina, può essere stata tutto tranne che bellina. E’ la mia madre senza tenerezza, la mia madre senza grazia, la mia madre di rabbia e furia.”
Al vecchio sindaco de Magistris, grande cultore della “magmaticità” dell’estro partenopeo, concetto snocciolato più volte con immutato autocompiacimento lungo la parabola artistico/culturale/istrionica che ne ha caratterizzato la politica, questo libro piacerebbe molto, o magari gli è piaciuto già. Perché Angela, la defunta madre di Antonio Franchini raccontata in questo romanzo-memoir, incarna l’archetipo del vulcano. Fuori dall’edulcorazione, tout court: imprevedibilità e catastrofe. Litigiosa, fumantina, rancorosa, qualunquista, prepotente: una Erinni, creatura del caos dal volere ottuso e granitico, come le reminiscenze del liceo classico incrostatele nella memoria, come la cultura nozionistica e superficiale che non disperde l’arroganza, ma la moltiplica. Il lutto agiografico è cosa da tutti, ben più coraggioso rivedere una vita sotto la lente di un inalterato disprezzo. Ipocrisia e provincialismo, odi atavici e maldicenze: il passaggio di Angela su questa Terra non è stato molto differente da quello di tanti napoletani. Perché i napoletani sono cattivi, la loro bontà è propaganda. Detestano tutto ciò che non conoscono o non capiscono, e questo Antonio Franchini lo sa e lo racconta da sempre, conservando negli anni l’unicità e il rigore dello sguardo da memorialista. E se il cosmo tascabile di personaggi che contornano la protagonista restituisce la teatralità di alcune commedie di Eduardo, se l’ironia caratterizza da sempre la comunicazione nel golfo di sirene e uova magiche e castelli misteriosi, non è mica una festa felice. È più testimoniare, non accettando perché inaccettabile, il Fato in forma di madre. Per assegnazione biologica e cittadina.
Simona Ciniglio
Michele Masneri – Paradiso
Adelphi
Con Paradiso, suo secondo romanzo, Masneri – classe 1974, bresciano, giornalista e saggista – tratteggia un irriverente, divertente, nostalgico racconto bagnato nelle tinte di una commedia sardonica e malinconica insieme, dominata da uno sguardo sulla Roma che abita ormai da anni e che – come ricorda in esergo citando il Gore Vidal di Roma di Fellini – è «il posto ideale per vedere se tutto finisce, o no». Federico Desideri, giovane giornalista di una rivista di nicchia milanese, viene inviato in una Roma tanto contemporanea quanto metafisica, per intervistare Mario Maresca, regista di un film culto “Anima Latrina”. Nei passi incerti di un’estate romana, che vive di riflessi della celluloide degli anni d’oro del cinema italiano, Federico non centrerà il suo obiettivo, imbattendosi, però, nel modello reale cui il regista si era ispirato: Barry Volpicelli. Felliniano e Risiano a un tempo, Volpicelli sarà il suo Virgilio in un luogo sospeso sul litorale laziale, il Paradiso del titolo, sorta di villaggio lontano dai fasti di una sua ormai passata età dell’oro. Qui, Federico si troverà a fare i conti con una straordinaria commedia umana, messa in scena da un gruppo di freak eccentrici: ambasciatori, medici, un corteo di servitù e dei loro bambini, prìncipi, vecchie dive e le due signore Volpicelli. Tra gli appuntamenti fissi di pranzi luculliani, scenette surreali, fragilissimi equilibri di potere di una borghese nobiltà presunta, Federico imparerà a conoscere fino ad amare questa umanità disperata, affascinante e decadente.
Fabio Mastroserio
Sally Rooney – Intermezzo
traduzione di Norman Gobetti, Einaudi
Come le soglie, gli intermezzi che costellano la nostra vita possono instillare la fiamma di un profondo cambiamento: è ciò che succede ai fratelli Koubek, Peter e Ivan, i protagonisti del quarto romanzo di Sally Rooney, Intermezzo (Einaudi), uscito lo scorso novembre. I due ragazzi – Peter, avvocato di successo e intraprendente nelle relazioni con le donne, e Ivan, goffo giovane prodigio degli scacchi che, dopo la laurea in fisica, sta cercando di avviare la propria carriera da giocatore professionista – devono elaborare la morte del padre, spentosi dopo una lunga malattia. Nei mesi immediatamente successivi al funerale i fratelli Koubek affronteranno il lutto a modo loro, con qualche risvolto inaspettato: Peter reagirà abbarbicandosi su sé stesso, affogando nei sensi di colpa e nella disperazione, abbandonandosi a lunghe passeggiate per le vie di Dublino mentre rievoca episodi famigliari del passato, che spaziano dal rapporto con il fratello di Ivan al divorzio dei genitori, fino al rapporto con il suo grande amore dei tempi dell’università, Sylvia, naufragrato dopo un incidente che l’ha segnata per sempre. Il flâneur moderno mentre si frequenta con Naomi, giovane studentessa sfrattata dall’appartamento che occupava con i suoi amici, si rifugia nella vita che avrebbe potuto costruire con l’ex, rimpiangendo la dolce gioventù, quando si sentiva infallibile. Più introverso e scostante del fratello maggiore, Ivan segue una parabola opposta rispetto a ciò che vive il fratello: una nuova e inaspettata relazione con la trentaseienne Margaret, incontrata per caso nella provincia irlandese, lo aiuterà ad affrontare il lutto in maniera vitalistica, all’insegna della scoperta dell’amore. Inoltre, questo intermezzo di tempo allontana e, allo stesso tempo, i fratelli: venuto a mancare il padre, i loro stessi ruoli di primogenito e figlio minore si sgretolano, in questo modo i Koubek possono affrontarsi (e ance scontrarsi) alla pari, delineando un inedito rapporto fraterno. Il quarto romanzo della scrittrice cult irlandese è il migliore scritto finora? È forse presto per dirlo, ma con Intermezzo Rooney ha sperimentato maggiormente, adottando uno stile di scrittura meno immediato a quello a cui aveva abituato i suoi lettori, intriso di uno stream of consciousness che ricorda molto la scrittura joyciana. Una Rooney più matura, dunque, che dà voce a una generazione di giovani adulti che si affaccia a una vita piena di contraddizioni e complessità, rifuggendo i costrutti sociali di ogni genere e provando a trovare la propria strada in questo mondo.
Nicole Erbetti
Varlam Šalamov – Tra le bestie la più feroce è l’uomo
traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi
Antonella Cilento – La Babilonese
Bompiani
Raffaele Calvanese
Roberta Recchia – Tutta la vita che resta
Rizzoli
Rimase così, l’immagine fissa di un dolore a cui non era capace di dare voce.
Il romanzo che non ti aspetti da questo duemilaventiquattro. Incrociato per caso, letto per curiosità, apprezzato davvero tanto. Parlo di Tutta la vita che resta di Roberta Recchia, una storia generazionale costellata di dolore profondo e di speranza luminosa. La vita che resta è quella della famiglia Ansaldo-Balestrieri-Bassevi, che condivide un grande trauma alleggerito dalla mano pronta e dall’amore inaspettato di un ragazzo arrivato da San Basilio. Protagonisti tutti, polarizzati dietro nelle figure di Betta e Miriam, due adolescenti le cui vite vengono stravolte in un soffio durante una sera d’estate. A fare da sfondo la Roma del centro, quella dell’Appio Latino, l’estrema periferia con San Basilio e anche una certa Torre Domizia, località di mare un po’ vera e un po’ forse no, ma sempre verosimile. Soprattutto quando questa diventa da locus amenus a horridus. Gli anni e il tempo attraversano tutto il romanzo, accompagnando silenziosamente la narrazione di Roberta Recchia che ci regala un libro che, una volta finito, è molto difficile da abbandonare. Consiglio questo libro a chi si trova in periodo in cui vede tutto nero, cerca storie in cui ritrovare quello sente, ma ricordando sempre che anche nella tragedia più grande, bisogna sempre trovare qualcosa di luminoso a cui appigliarsi.
Federica Guglietta
Jonny Costantino – Piressia
Wojtek
«Non parlo di fuochi fatti né di fuochi di paglia. Parlo di fuoco vivo. Parlo del fuoco vivo dell’arte a prova di tenebra». Jonny Costantino, classe 1976, di Catanzaro, è cineasta e scrittore. Uomo mite e intellettuale violento, come Siciliano ebbe a dire dell’amico Pasolini, con Piressia costruisce un’opera di difficile definizione. Al centro c’è il Dossier D-K-H, una teoria della “reignificazione” – sorta di reincarnazione attraverso il fuoco – di Emily Dickinson in Billie Holiday attraverso il genio di Franz Kafka. Intorno, una cornice di straordinario impatto cinematografico: Costantino personaggio letterario è scampato al Falò della Morte “autentico spreco di estrosi sadiche e sbalorditive invenzioni tanatologiche”. Dal suo rifugio di salvezza racconta la sua storia. Romanzo, saggio, riflessione sull’arte, Piressia colpisce e spaventa per l’ortodossia della scrittura, per la sicurezza salda dello stile, per la severità con cui l’autore nulla concede al superfluo: a sé stesso come all’arte nella sua totalità. Bellissimo e ostico, nel suo sfidare il lettore, nel suo riportare la Letteratura sugli altari di un’iniziazione colta ed esoterica. Assumendosi la responsabilità di ogni virgola come ama dire, citando Bresson, Costantino vuole restituire dignità altissima all’arte; fuoco come elemento puro e ustionante, celebrando un pantheon di autori che aiutano a delinearne ascendenze, aspirazioni e confini: da Herzog a Bataille, da Cărtărescu a Bolaño, da Arbus a Pizarnik, da Lou Reed a Steve Lacy, da Rimbaud a Fassbinder.
Fabio Mastroserio
RILETTURE
Giulia Sara Miori – La ragazza unicorno
Marsilio
D’un tratto, sentì venire meno la speranza. E se l’avessero lasciato in quella cella per sempre, senza mai più liberarlo? Cos’avrebbe fatto, a quel punto? No, si disse. Mio fratello, mio padre… Loro mi cercheranno.
Tra i romanzi degni di nota letti quest’anno c’è, come vi raccontavo qualche mese fa, un piccolo romanzo rosa confetto, ma pieno di tensione: La ragazza unicorno, il primo romanzo di Giulia Sara Miori in libreria per Marsilio. Una storia nera, a discapito della copertina e di quel bianco asettico che tra le sue pagine ritorna spesso. Una storia di prigionia fisica, di imprevisti capaci di sconvolgere intere esistenze e di quelle gabbie mentali in cui ognuno di noi tende a rifugiarsi per non perdere quelle poche certezze che ha. Data la natura del romanzo, è superfluo dilungarsi sulla trama. Voglio ripetervi che Giulia Sara Miori, (alla sua seconda pubblicazione dopo le storie di Neroconfetto con Racconti edizioni nel 2021, ci regala la sua prosa nera, sfuggente, indagatoria ed affilata. Un romanzo breve che consiglio a chi cerca uno scossone dalla routine in una lettura sempre capace di sorprendere.
Federica Guglietta | Recensione
Han Kang – Non dico addio
traduzione di Lia Iovenetti, Adelphi
C’è chi per amore è pronto a salire all’improvviso su un volo aereo diretto all’isola di Jeju, per nutrire l’uccellino di una vecchia amica e collega, chi invece trascorre l’intera vita alla ricerca della verità, in nome della propria famiglia, chi ha scavato per giorni e giorni alla ricerca delle ossa del proprio fratello tra quelle di tante altre vittime innocenti di un massacro senza eguali nella storia sudcoreana. Cosa siamo disposti a fare in nome dell’amore? È il perno attorno a cui ruota Non dico addio, romanzo di Han Kang, pubblicato in Corea nel 2021 ed edito in Italia da Adelphi lo scorso ottobre (tradotto da Lia Iovenitti), subito dopo la vittoria da parte della scrittrice del Premio Nobel per la letteratura. Tutto, in Non dico addio, è mosso dall’amore, espresso nelle sue forme più variegate di questo sentimento che domina le vite delle tre protagoniste, Gyeong-ha (l’io narrante e protagonista della vicenda ideata da Kang), scrittrice sulla soglia della mezza età, con un matrimonio andato in frantumi e una vita da ricomporre pezzo dopo pezzo, In-seon, film-maker e documentarista che, dopo diversi anni a Seoul, è tornata all’isola di Jeju, di cui la sua famiglia è originaria, e sua madre Jung-shim, sopravvissuta a una pagina dolorosa della storia della Corea contemporanea, il massacro degli abitanti di Jeju, accusati di essere comunisti. Il tema politico, caro alla scrittrice cui ha dedicato le pagine di Atti umani al massacro di Gwangju del 1980, emerge a poco a poco nel romanzo, all’aumentare della neve e del freddo provati dalla protagonista: Gyeong-ha, dopo aver fatto visita alla vecchia amica In-seon, ricoverata in ospedale in fin di vita, sale d’impeto su un volo che da Seul è diretto all’isola di Jeju per dare da bere a uno dei pappagallini dell’amica per evitare che muoia di lì a poco. Approdata lì, si scontra con una realtà cruda, fredda e distante: una tempesta di neve che la coglie impreparata per la catabasi che l’attende, una discesa agli inferi e negli abissi dell’umanità. L’arrivo a Jeju non è altro che il pretesto per rievocare il massacro di circa 30mila civili accusati di essere comunisti tra il 1948 e il 1949, scoperchiandone l’assurda atrocità. Una pagina ancora poco conosciuta della storia della Corea del Sud raccontata con lo stile inconfondibile dell’autrice, chirurgico e onirico allo stesso tempo.
Nicole Erbetti |Recensione
Alasdair Gray – Lanark
traduzione di Enrico Terrinoni, Safarà
Il 2024 ha visto la ripubblicazione in una nuova edizione compatta e arricchita di “Lanark: una vita in quattro libri” di Alasdair Gray. “Lanark” è un libro che si regge su giochi di onirismo e di immaginazione, quanto di ancoramento a profonde realtà sociali. Un libro che incrocia mondi paralleli, la Scozia e città immaginarie e immaginifiche, un romanzo che gioca sulle pieghe del tempo scorrendo avanti e indietro lungo la vita del protagonista, che come un pianeta appare costellato di realtà continentali dal lento movimento e dalla fluidità del liquido che scorre nel suo cambiamento e nella sua formazione. E proprio come ogni pianeta che si rispetti Lanark vede numerosi satelliti orbitargli attorno, il satellite dell’amore, della guerra, della paura, dell’inadeguatezza. La lingua di Gray scorre attraverso aperture al magico, al patologico fantastico, accompagnando il lettore in un viaggio imprevedibile dove dietro ogni porta può nascondersi una creatura fantastica, un amore impossibile, un corpo troppo bello per essere desiderato. Un’opera complessa che si inserisce all’interno del grande lavoro che sta compiendo Safarà al fine di portare al pubblico italiano questo grande autore, un’opera iniziata prima del grande successo di “Povere Creature!” e che mette in evidenza un lavoro di ricerca editoriale accurato e attento. Se ancora questo volume non è entrato nelle vostre librerie, per il 2025 prendetevi un po’ di tempo e godetevi questo viaggio in un mondo trasognante e disperato.
Antonio Gatto | Recensione
Mircea Cărtărescu – Theodoros
traduzione di Bruno Mazzoni, Il Saggiatore
Mircea Cărtărescu racconta di avere coltivato a lungo la visione di questo romanzo epico, poema trasognato, una fantasia stesa sul grande arazzo della storia. In certi momenti lo scrittore rumeno sembra un profeta ispirato da uno strato di surrealtà, un apostolo apocalittico che prende dal sogno e mischia il suo stile visionario al reale. Il protagonista è l’imperatore di Etiopia, o il suo doppio; un pirata che vaga per mare e isole, un uomo divorato dalla sete di gloria, che parte alla ricerca di un regno e finisce per conquistarne uno. Mircea Cărtărescu intesse mito e poema, surrealismo e religione, fiaba e storia, e ci conduce in un luogo dove l’aroma della tella, la birra etiope, si mescola agli odori del mare aperto e ai profumi di una Bucarest che sa di menta e halva, raki e patate, merda e caffè. Bucarest che torna sempre, città labirintica e onirica, e là dove stavolta non c’è Ștefan cel Mare o un dedalo di sotterranei, la ritroviamo sfigurata dalla peste, centro all’avanguardia dell’illuminazione a gas, luogo di incontro tra Occidente e Oriente, capitale sospesa tra le due dimensioni di sogno e realtà. È in questa zona ignota e doppia che si sprigiona la scrittura di Cărtărescu, e la si ama tanto anche per questo, per il modo in cui ci fa fantasticare, e per come ci spinge oltre i limiti della parola. Theodoros è un prodigioso flusso di colori, odori, sapori, sensazioni, la radicale opera di immaginazione di uno scrittore dallo sguardo unico, un surrealista moderno che nel tentativo di estrarre una cartografia della storia umana, spinge al viaggio nella nebbia di miele del sogno.
Giovanna Taverni | Recensione
Elif Batuman – Aut-Aut
traduzione di Federica Aceto, Einaudi
Elaborare un’assenza, farci i conti ogni giorno e mettere in discussione ogni scelta fatta nell’ultimo anno: è il perno intorno al quale ruota “Aut-Aut”, il romanzo di Elif Batuman uscito nel 2024 e naturale seguito de “L’idiota” (2019). La studentessa di Harward è pronta ad affrontare il secondo anno alla facoltà di Lettere con ancora più dubbi e meno certezze rispetto all’autunno precedente. Questo suo stato d’animo, fortemente malinconico e tendente alla depressione, è dovuto alla fine della sua particolare relazione con Ivan, il misterioso laureando in matematica, e alle domande e ai dubbi che la attanagliano ancora, persino dopo il silenzio calato tra i due giovani. Costruito su una struttura molto simile a quella de L’idiota, in Aut-Aut Selin per tutto il corso dell’anno accademico approfondisce lo studio della lingua russa e della letteratura e, all’insegna di una vita estetica, (a differenza dell’amica Svetlana, che propende più per una vita etica) inizia a esplorare il mondo del sesso, senza mai abbandonare la sua consueta stranezza e ironia, al punto che alcune scene risultano al limite dell’awkward e dell’imbarazzante. L’intero campo amoroso assume per Selin il carattere dell’urgenza, al punto da fagocitare una grossa fetta del romanzo: le aule scolastiche sbiadiscono, così come si accendono le luci sulle feste universitarie – cui prende parte con coraggio e naturalezza – e quelle delle camere da letto. L’esplorazione conoscitiva da parte di Selin nei riguardi del mondo erotico ha un non so che di scientifico, razionale e al tempo stesso urgente e romanzesco e viene affrontato da Batuman con uno stile anticonvenzionale, libero e proiettato al racconto della formazione umana e intellettiva della giovane studentessa e futura intellettuale.
Nicole Erbetti | Recensione
Claudia Durastanti – Missitalia
La Nave di Teseo
Se La straniera era un memoir che faceva finta di essere un memoir, Missitalia è un romanzo storico che racconta una storia perlopiù inventata, strizzando l’occhio a Elsa Morante, procedendo di secolo in secolo verso il futuro, ma è soprattutto un romanzo che cerca il dialogo a distanza tra tre donne dall’esperienza importante. Claudia Durastanti torna alle origini raccontando storie multiple che esplodono nel tempo e nello spazio. Il focus è sulla Lucania e sulla Val D’Agri, una dimensione molto presente nella Straniera ma che qui diventa totalizzante, un universo dotato di sue regole che scorrono parallele a quelle del nuovo stato d’Italia appena formato, nella prima sezione ci presentano Amalia Spada come eroina cresciuta in un contesto matriarcale. Dal passato più distante, che coincide con l’origine dell’identità che l’autrice ha abbracciato in modo sempre un po’ obliquo nella sua fiction, come nella vita, ci si sposta a Roma negli anni ’50, seguendo il viaggio di Ada che si rivela una spia alla scoperta delle radici magiche rimaste sepolte in un Sud Italia che non vuole inseguire il resto della penisola nella sua corsa verso le contraddizioni del progresso. Dal paesaggio calcareo dei Calanchi a quello del satellite che ci è più vicino, il mondo magico di Missitalia ci racconta donne sprovvedute ed eroiche come Chloe e Cleopatra, come la madre e la figlia nella Straniera, e l’epica sfrontatezza con cui la voce di Durastanti si traduce in scrittura si dipana e riavvolge in stili diversi procedendo sempre più sicura, sempre più evocativa.
Francesco Chianese | Recensione
Emanuela Anechoum – Tangerinn
e/o edizioni
In apertura di Tangerinn, Anechoum indica subito qual è la sua affiliazione citando un brano di Elsa Morante da L’isola di Arturo, dedicato alle persone che hanno “due sangui” nelle vene e perciò sono animati dal compresente desiderio di essere qui e là senza trovare “riposo né contentezza”: “mentre sono là, vorrebbero trovarsi qua, e appena tornati qua, subito hanno voglia di scappar via”. Un manifesto per ogni “animale doppio” in cui si riconosce un proprio simile. Ma al di qua della storia importante che Anechoum racconta, c’è qualcosa di magmatico e salmastro che emerge dalla sua scrittura limpida e levigata che la consacra immediatamente come una delle voci più piacevoli da ascoltare, tra quelle italiane emerse negli ultimi anni. Inoltre Anechoum fa parte degli italiani che hanno popolato la capitale britannica e ne hanno descritto in italiano l’esperienza. La cosa originale di Anechoum è che lei è diventata una expat londinese portando con sé oltre al background calabrese, di suo piuttosto poco esplorato letterariamente, quello addizionale che la collega a un sud leggermente più a sud: dal suo libro emerge un costante dialogo con il padre appena defunto, un tu con cui la voce narrante dialoga durante la descrizione di immagini di molteplici passati, emigrato dal Marocco e stabilitosi in un paese della costa calabra, sposando una donna del posto. Un aspetto che colpisce di Anechoum è la capacità di descrivere questa eredità marocchina da un punto di vista radicato nella generazione italiana del presente, una seconda generazione rispetto al paese di emigrazione dei genitori, ma animata dal medesimo desiderio di fuggire all’estero per poter realizzare ambizioni che non trovano sfogo nel proprio paese. Un punto di vista dunque in cui si sovrappongono due desideri di fuga e due traiettorie di migrazione.