Se un mio amico mi invita alla festa per i suoi diciotto anni e mi promette che per l’occasione si esibirà il trapper del momento, diciamo LIBERATO, e io mi presento speranzoso alla sua festa, ma non trovo nulla che assomigli all’artista e niente che possa dirsi musica… soltanto in due casi posso risparmiare al mio amico un sonoro mazziatone. Il primo caso è che il mio amico purtroppo per tutti è scemo, quindi è impossibile addebitargli le conseguenze delle sue stesse azioni e va bene, che vuoi farci. Il secondo caso è che lo scemo sono io. Ecco, che ieri fosse o non fosse LIBERATO quello che si è esibito tra fumogeni ed entusiasmi via via decrescenti, sull’omonimo lungomare, non importa granché. Non importa fossero in quattro o in cinque, venuti dal mare come i miti. Importa il racconto che collassa, la storia che si disfa e la mancanza di reazione. E “importa” suona improprio, perché qui si annota, registra e passa oltre. Forse è più giusto dire che interessa, come fenomeno, da osservare.
E in effetti è un documentario: molta sociologia, marketing esperienziale, quello che ieri ha coinvolto 10mila, 15mila, 20mila persone? Una grossa gabbia per delimitare e seguire meglio le reazioni dei partecipanti all’esperimento, il fumo, molto fumo, già è stato detto, esubero di bassi e una voce vera, verace: “comme cazz’ site bell”. In tre sul palco, uno è lui, non è lui, chi se ne importa se è lui. Di fatto: si percepisce (“appare” già è troppo) incerto, anche timido, di sicuro non ha una gran voce.
Nove maggio, Intostreet e Je te voglio bene assaje. L’accenno di un omaggio, Quanno chiove a Pino Daniele, poi Gaiola Portafortuna; Me staje appennenn’ amò; chiude con Tu t’è scurdat ‘e me. Alle spalle una scena di luci nostalgia-giostre-e-panino-dal zozzone-a mezzanotte. La Napoli edulcorata, con filtro accattivante e atmosfere urban, la moda Mare(chiaro), gli intrattenimenti semplici di una generazione che tra scooter e chioschi sul lungomare intesse avvincenti storie d’amore, addominali scolpiti, cappucci scarpe converse e bronci ialuronici è una creatura montata e splendidamente promossa, quanto inesistente. E non è scoprire l’acqua calda se tutto questo non regge minimamente in un live. Perché, oh, esistono i Gorillaz. Ma, verrebbe da dire, a ciascuno il suo Hype, e Damon Albarn e Jamie Hewlett il loro Frankestein musicale lo portano in giro con maestria e sicurezza ben oltre l’invenzione e il marketing.
Ieri sera è servito a dimostrare cosa succede se togli la musica, togli l’artista e togli anche la città. Non succede niente. Sì, perché il mito qui è di casa, e se il campionato è in grado di generare tensione spirituale pari solo a Istanbul durante il ramadan, l’imbarazzo inarticolato di ieri sera, il fiato sospeso del castello sull’acqua ci raccontano che, al di là di pose e giubbino-mantello con su scritto il suo nome, LIBERATO non ha nulla né del mito greco, profano, come piace alla città, né del supereroe dei fumetti.
Allora vale la pena ribadire che le canzoni di LIBERATO sono un prodotto ineccepibile, che da tempo non si ascoltava qualcosa in grado di suscitare reazioni, smuovere interesse. È un bel prodotto e il collettivo che gli sta dietro un gioco affascinante, e noi non siamo guastafeste, i bei giochi li trattiamo con benevolenza, partecipiamo, li condividiamo. Ma forse bisogna annotare e aprire gli occhi se alla musica si sostituisce l’happening e il pubblico non protesta. Fino a che punto ci si può spingere?
Se a fine spettacolo una voce da luna park invita a disperdersi in ordine e grazie e arrivederci a tutti è stata una bella festa. Se è tutta una falange, un esercito di ragazzi che di fronte alla realtà si fa scudo con il cellulare, non sa bene cosa sta vedendo, non distingue esattamente quello che ascolta, e aspetta il giorno dopo, la pagina ufficiale, i commenti, le condivisioni per sapere cosa deve pensare, per conoscere il nome da dare alla perplessità che si rifiuta di salire alle labbra. Come quando mamma e papà si stanno separando e noi non ne vogliamo sapere, solo che LIBERATO e Napoli non si sono mai fidanzati sul serio: lui è fidanzato ma lei non lo sa. Appare quindi evidente, una volta in più, che della verità non importa a nessuno. Se ne fanno volentieri coriandoli, in cambio di un’accettabile versione di sé nella story di Instagram e Facebook. Like, Share.
La musica napoletana, per quanto ormai abbia senso geolocalizzare suoni nella contaminazione inevitabile tra sound, generi, e nell’impero assoluto della tecnologia -che arriva ovunque e non ha origini ma purtroppo nemmeno una destinazione- questa musica, insomma, di scena a Partenope, se nella musica comprendiamo la dimensione della performance, la fisicità, lo spettacolo e la relazione con l’artista, ci sta chiedendo uno sforzo da mitologia greca: non voltarci, non guardare quello che succede, fino a che non sia risorta.