Liars – TFCF

Dopo Mess e la sua iconica copertina era difficile fare qualcosa di simile per i Liars, dovevano per forza trovare nuove direzioni. E TFCF, sin dalla prima traccia, mette in chiaro che stavolta i Liars non saranno i casinisti di Mess: The Grand Delusional è un pezzo molto più soffice, accompagnato da soffuse chitarre slow. Persino il ritmo di Cliche Suite, nel suo accentuarsi, si contraddistingue per quel ritmo slow, quasi rallentato, che sembra dare un effetto ralenti al disco. Se Mess era una corsa noise, TFCF soffre un poco di questo effetto, e costringe il suono a dilatarsi. Gli undici pezzi del disco sono brevi, eppure vengono fuori lentissimi.

Così, quella che era un’attitudine matematica a suoni e ritmi dei Liars – qualcosa che in qualche modo li aveva sempre contraddistinti e resi originali nel panorama delle band contemporanee, ora prende una via nuova, e sembrano uscir fuori quasi lo-fi con spruzzate di effetti elettronici qui e là. È strano ritrovare i Liars così, per chi è abituato alla matematica del casino, questo disco ha una forma e un sortilegio diverso. No Help Pampleth è emblematico di questa nuova direzione presa dalla band.

Eppure, proprio subito dopo, parte il pezzo più liarsiano di tutti: Face To Face With My Face. Qui ritroviamo quello che chiameremo lo spirito autentico, la natura da affascinanti sperimentatori di suoni, l’aspetto calcolato del ritmo e il noise. Tuttavia resta una soffusa atmosfera rallentata anche in questo caso, nei beat e nelle atmosfere. E il perché è da ricercare proprio nel titolo di questa canzone: faccia a faccia con me stesso.

Sarà che Angus Andrew è rimasto da solo a indagare i suoni, perdendo la storica collaborazione di Aaron Hemphill e Julian Gross. E così dance e noise lasciano spazio a un disco che si fa molto più intimo. In realtà la frattura all’interno del gruppo si fa sentire, la mutazione del suono è piuttosto chiara. Se Dave Longstreth è riuscito a trovare una direzione personale al suono pur nella solitudine della composizione del nuovo disco dei Dirty Projectors, forse ad Andrew l’esperienza non riesce del tutto.

E allora ci sarà da chiedersi perché non cambiare nome al progetto, quando vien meno una parte portante del gruppo e delle sonorità a cui eravamo affezionati. Come dalle ceneri dei Joy Division nacquero i New Order, è probabilmente più sano rimettersi in gioco con un nome diverso quando le sonorità di una band cambiano in modo più o meno marcato. Nel caso dei Joy Division era “solo” la voce ad aver abbandonato il gruppo, eppure al resto della band parve doveroso virare verso un nuovo nome al gruppo. Angus Andrew forse avrebbe dovuto fare lo stesso, per non tradire lo spirito del sound Liars. Ma in fondo parliamo di una band mentitrice, rompi-attese, e casinista. Perché non dargli una chance anche stavolta?

Andrew vi aspetta in solitudine persino sulla copertina del disco.

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