Sul corpo delle donne | L’Èvénement di Audrey Diwan

Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo.

«Hai fatto un film giusto». Queste le pochissime parole che Annie Ernaux ha avuto per Audrey Diwan appena uscita dalla proiezione di L’Èvénement, Leone d’oro alla 78ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, tratto dal suo libro omonimo pubblicato in Francia per Gallimard nel 2000, uscito in Italia solo nel 2019 per le edizioni L’orma (traduzione di Lorenzo Flabbi).

Ai meno attenti potrebbe sembrare un giudizio stringato e invece contiene tutto, tutta l’importanza di un’opera cinematografica che è riflesso continuo di uno tra i libri più importanti degli ultimi anni.

Ho visto L’Èvénement nell’anteprima europea che si è svolta a Napoli, lo scorso ottobre, nell’ambito del Festival Venezia a Napoli che, da anni, porta nel capoluogo campano i film presentati al Lido solo poche settimane prima. Ospiti della serata la regista Audrey Diwan e la protagonista, l’attrice romena naturalizzata francese, Anamaria Vartolomei. Una serata completamente al femminile, giacché anche l’intero gruppo di lavoro del festival è composto di sole, splendide, donne.

L’ho visto senza aver letto ancora – colpevolmente – il libro, di cui pure ci siamo occupati ampiamente su queste pagine. Una lettura che ho poi subito recuperato in una sola sera, al lume di una lampada senza alcuna possibilità di staccare gli occhi dalla pagina.

Ogni fatto che marca una vita merita di essere pensato.

Audrey Diwan

L’Èvénement è la trasposizione fedele – si concede solo una scena in più, non del tutto necessaria – del romanzo breve (o racconto lungo) di Ernaux. Resoconto, testimonianza, confessione, presa di coscienza, salto nella memoria che rievoca l’evento – appunto – che ha segnato la sua prima giovinezza. Evento che coincide con la scelta di abortire, di interrompere una gravidanza non desiderata durante i suoi anni universitari nella Francia dei primi sessanta, ben lontana, dunque, dalla Legge Veil del gennaio 1975 che avrebbe legalizzato l’aborto – «il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che “le cose sono cambiate”. Ciò che è accaduto resta coperto dallo stesso silenzio di prima».

Eppure ci vogliono molti minuti – quasi una mezzora – prima di capire dove siamo e in quali anni. La produzione, a basso budget, è perfettamente funzionale all’essenza stessa del film. L’Èvénement, infatti, rispetta certamente l’ambientazione del romanzo, totalmente incentrato sulla descrizione di un aborto clandestino negli anni sessanta, ma non è affatto un film storico, bensì un film fortemente politico. E, per questo, non ha alcun bisogno di porre l’accento sull’ambientazione di quegli anni. Audrey Diwan sceglie in maniera intelligente di portare il discorso e la sua narrazione in uno spazio atemporale, non negando ma nemmeno enfatizzando la stagione storica, ben sapendo come quell’esperienza sia tragicamente declinabile su tempi verbali differenti dal passato remoto. E non solo in zone lontane dell’universo mondo ma anche in un Occidente oggi tutt’altro che al riparo da dinamiche reazionarie – è la stessa regista a parlare apertamente del ripristino della legge anti aborto in Texas come dei divieti nella Polonia europea – a ricordarci, così, come gli stessi diritti acquisiti non possano essere considerati mai davvero al sicuro da manovre revansciste.

Ecco allora che L’Èvénement è prima di ogni altra cosa, un’opera che riflette e fa riflettere sul corpo delle donne come corpo politico, come infinito – nello spazio e nel tempo – tavolo da lavoro, da vivisezione, da esperimento sul quale il mondo patriarcale ha operato e opera tuttora non tanto attraverso le leggi di una possibile morale – i ritratti maschili, nel film come nel romanzo escludono a priori questa possibilità – quanto attraverso i meccanismi di controllo sulle donne che si traducono nella pretesa di dominio sul loro stesso corpo e che, davanti all’ipocrisia di Stato, assume i contorni inquietanti di una punizione che solo nel dolore – fino alla morte – può accettare il ricorso all’interruzione di gravidanza.

L’Èvénement è, programmaticamente, un film di corpi. La camera inquadra – attraverso un 4:3 che restringe il campo d’azione e di osservazione – in maniera pressante il corpo e il volto bellissimo di Vartolomei. Il suo sguardo, asciutto e diretto, essenziale ma mai freddo traduce perfettamente sullo schermo la scrittura di Ernaux, ne è il tramite unico e irripetibile – «non posso immaginare nessuno al posto di Anamaria per impersonare me stessa a ventitré anni» – ha dichiarato la scrittrice francese – «con una veridicità e una giustezza che sconvolgono i miei ricordi».

Torna sempre lo stesso termine – «giusto» – a giudizio di un racconto nel quale la realtà trasuda invece di un’ingiustizia continua e implacabile. Tanto è netta, chiara, inscalfibile la decisione della giovane Annie, tanto è terribile il meccanismo di una società maschile e patriarcale che, in virtù di un principio, si volta dall’altra parte pur conoscendo il rischio, il pericolo, il sacrificio cui le donne erano costrette per abortire illegalmente. Audrey Diwan riesce a portare sul grande schermo lo stesso dolore atroce che si respira nel libro: una delle scene – quando Annie prova ad abortire utilizzando da sola un ferro da maglia – è straziante e difficilmente sostenibile. Ma è un dolore necessario che mostra l’orrore che, a differenza di ciò che, spesso si vuole raccontare, è dicibile se a parlare sono artiste che sanno – come in Cechov – che «basta essere giuste, misurate e il resto verrà da sé».

Ma non è solo il dolore fisico a emergere dal film. Quello che Audrey Diwan è davvero bravissima a riproporre è la condizione di solitudine e isolamento che la protagonista vive. Le amiche che pure, almeno a parole, si confrontano con le prime istanze di una libertà sessuale, di fatto, la abbandonano, spaventate. Gli uomini sono un universo che non può o non vuole comprendere: dai medici che la visitano ai professori che la giudicano, dallo studente di Scienze Politiche di Bordeaux con cui è andata a letto durante l’estate che non sa e, soprattutto, non vuole gestirne il futuro, senza farsi carico delle responsabilità e delle sofferenze, agli amici maschi che cercano di approfittare di una ragazza considerata ormai facile. Dolore e solitudine che si consumano in una delle scene più belle del film, a casa della fabbricante d’angeli – un’intensissima Anna Mouglalis – che in cambio di quattrocento franchi pratica aborti clandestini. È qui, in una stanza in penombra, con le tende socchiuse, senza poter emettere anche un solo gemito di dolore, con una donna fredda, distante – eppure efficace e sua unica àncora – che s’inginocchia per pochi istanti tra le sue gambe aperte, che termina il suo calvario, sola, senza nulla che somigli a un gesto di pietà, di cura, di attenzione, d’amore.

Alla fine della proiezione, di questo «corso stagnante di infelicità» si ha, immediata, la sensazione che L’Èvénement sia un film necessario, opera che non offre risposte e tantomeno giudica, che non ha la pretesa di assurgere a paradigma di una regola, ma che racconta benissimo, seguendo il proprio peculiare linguaggio, un’esperienza privata e personale eppure così forte, così intensa, così priva di filtri da diventare lo specchio di milioni di situazioni simili. Scelta personale e, dunque, intima e irripetibile – «esperienza umana totale, della vita e della morte, del tempo, della morale e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta dall’inizio alla fine attraverso il corpo» dotata di una forza – nella narrazione nel libro, nella rappresentazione nel film – capace di inchiodare e di sommuovere pensieri ed emozioni.

Anna Mouglalis, Anamaria Vartolomei, Audrey Diwan, Luàna Bajrami, Louise Orry-Diquéro

Nato dall’incontro tra Diwan in seguito al suo aborto – naturalmente nel contesto di una Francia contemporanea eppure non scevro dallo smarrimento della scelta – e la lettura del libro – L’Èvénement è un film che sa raccontare cinematograficamente l’esperienza di Ernaux. È certamente questo uno dei suoi principali meriti artistici, perché – ci teniamo a sottolinearlo – il Leone d’Oro è stato un premio alla grandezza del film e non meramente al suo messaggio.

L’Èvénement pur nella sua totale fedeltà è un’opera a se stante. Affrontare il romanzo di Ernaux dopo averlo visto – com’è successo a chi vi scrive – restituisce emozioni nel medesimo istante identiche e differenti; perché in un caso supportate dalla forza cristallina di una penna dura e lucida, nell’altro dall’immediatezza delle immagini. Sullo schermo scorre implacabile l’avanzare del tempo fissato alle date delle settimane e sembra di essere lì con la protagonista, col suo corpo che cambia e si ribella, con la sua angoscia e la sua preoccupazione, la sua durissima battaglia verso l’autodeterminazione.

Se nel romanzo la voce narrante con la sua maturità, i frequenti “tra parentesi” offre lo spazio di un orizzonte temporale che ingloba il dolore nella prospettiva di un senso – «E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa d’intellegibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri» – sullo schermo, la narrazione, scevra della sua cornice si fa drammatica e diretta, testimonianza dolorosa e profonda del diritto all’affermazione del desiderio femminile all’alba delle sue prime lotte contemporanee.

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