Se c’è una cosa che amiamo della letteratura è quella capacità immersiva e illusoria di muoverci da un posto all’altro del globo senza camminare o macinare chilometri. Sarà per questo che abbiamo consumato intere notti nella lettura di certi appassionati canti di Baudelaire, e poi ci siamo avventurati con I figli del capitano Grant di Verne a bordo di una barca nel Pacifico, senza parlare dell’effetto beat generation o dei romanzi di Alexandre Dumas padre che ci facevano attraversare la storia girovagando tra le camere del potere. È questo il miracolo del raccontare, veniamo letteralmente estirpati dal qui e ora per essere trascinati in un piccolo viaggio nell’altrove.
Tra le molte nuove uscite editoriali degli ultimi tempi, alcune sono andate proprio in questa direzione solleticando fantasia e curiosità. È così che riesce di perdersi in meravigliose esplorazioni tra vulcani islandesi, o nella Patagonia selvaggia e l’Ucraina sovietica degli anni ’80.
Viaggio tra i vulcani in Islanda
“L’Islanda è una malattia, mi avvertì Arnór picchiettandosi una tempia con l’indice sinistro” – comincia così il prologo de Il libro dei vulcani d’Islanda di Leonardo Piccione, uscito a Gennaio per la casa editrice Iperborea. Un libro per esploratori, un’edizione curata fino ai minimi dettagli e di cui è possibile innamorarsi perdutamente: le mappe illustrate (curate da XxYstudio) che troverete all’interno vi guideranno in un’immersione autentica dentro lo spirito islandese, la sua terra e i suoi vulcani. Perché in fondo cos’è che fanno i vulcani se non ricordare la nostra caducità umana? Iperborea era già riuscita a farci assaporare l’Islanda con il primo numero di The Passenger, la rivista che racconta i paesi attraverso inchieste, reportage e focus con numeri speciali; inoltre il catalogo abbonda di autori islandesi – portando alla luce l’aspetto singolare di una terra in cui la percentuale di persone che scrivono è piuttosto alta se si considera che tutta la nazione è formata da circa 300.000 abitanti. Halldór Laxness è uno degli scrittori più conosciuti, vincitore del premio Nobel 1955, autore di quel libro che coglie il più autentico spirito islandese, Gente indipendente — e Piccione ci ricorda che anche Laxness ha affrontato la speciale morfologia islandese costellata di vulcani in Sotto il ghiacciaio (e sotto quel ghiacciaio – neanche a dirlo – c’è un vulcano). Sfogliando il libro salterà all’occhio il nome del vulcano più conosciuto per il giovane occidentale medio contemporaneo, quell’Eyjafjöll che nel 2010 improvvisamente fece parlare di sé bloccando mezza Europa e i suoi voli. E così finiremo per cadere in amore per una terra geologicamente giovane, dove dicono che basti passare una volta per cedere al suo richiamo per sempre. E del resto se ci sono gli islandesi che restano e resistono, e non hanno alcuna intenzione di lasciare un deserto infinito coperto di gelidi ghiacciai e minacciosi vulcani, è perché quel fascino non riuscirà mai ad abbandonarli, evaporare dal loro spirito. Il libro dei vulcani d’Islanda va al cuore del segreto di una terra sotto perenne minaccia esercitando sul lettore un richiamo. Se partite per quei luoghi, non potrete dimenticare una bussola come questa: mappa all’orientamento che racconta il vero spirito della bella gente indipendente che vive lassù.
“La penisola di Reykjanes è lì sotto e non dice nulla, non ha grandi montagne e nemmeno grandi idee; che presti il suo fianco più riparato all’unico aeroporto internazionale del Paese, quella è una decisione altrui, non certo sua. Sta di fatto che da più di cinquant’anni questo uncino di terra spelacchiata è il primo pezzo d’Islanda che ogni straniero avvista, e senza troppa ammirazione a dire il vero. Perché questo sputo di penisola è per lo più lava, lava nera e patacche di ghiaccio.”
Viaggio nella Patagonia selvaggia
Ultima Esperanza di Paolo Ferruccio Cuniberti (uscito per Edicola Ediciones) è un oggetto difficile da definire. Per un attimo siamo tentati di cadere nell’equivoco che il protagonista sia ispirato a un qualche personaggio reale, ovvero Federico Sacco, esploratore e veterinario piemontese che parte alla volta del Cile e della Patagonia nella seconda metà dell’Ottocento. In realtà il protagonista deve il nome al nonno di Cuniberti, veterinario pure lui che però non lasciò mai il Piemonte. Il diario di Sacco vi trascinerà via verso un’avventura dai toni romanzeschi, tra indios e battaglie coloniali, alla scoperta di quella terra magica che è la Patagonia, ancora tutta da scoprire. Il riscaldamento globale è ancora un miraggio per gli uomini impavidi di fine Ottocento, così sarà come tornare indietro nel tempo per un attimo, tra piccole resistenze e terre selvagge, sospendendo il presente (- che non fa mai male, soprattutto in questo avvilente momento). Vi avevamo già parlato di Edicola Ediciones, piccola casa editrice dedita a raccontarci il Cile, terra di scrittori straordinari come Bolaño e Neruda. Stavolta l’autore è italiano, ma con una piccola magia ci porta alla scoperta di un luogo, di un’epoca, di una terra amara e affascinante, ripescando nella vecchia formula del diario di bordo.
“Il risveglio all’alba in questa natura lussureggiante mi riempie di entusiasmo e di amore per l’esistenza. Una bassa e tenue nebbiolina avvolge il paesaggio e gli alberi stillanti umidità sulle tende dell’accampamento. Dalle groppe dei nostri cavalli radunati in branchi a poca distanza pare levarsi un lieve vapore. Tra gli squarci che si aprono nella vegetazione distinguo chiaramente la cime dell’Antuco sormontato da un cappello di nuvole. O forse di fumo.”
Viaggio nell’Ucraina sovietica
Aleksej Nikitin è un fisico ucraino che ha pubblicato Victory Park nel 2014, uscito da poco in traduzione italiana per Voland. Siamo a Kiev nel 1984, alle porte della disgregazione dell’impero: al Parco della Vittoria si incontrano storie e destini, sullo sfondo di un’Ucraina annessa all’URSS e all’ansia di un design sovietico che prova a cancellarne le tracce di un passato urbano non in linea con il classicismo socialista. La prosa di Nikitin non è sciolta, e questo ha l’effetto di catapultarci dentro un’epoca disordinata attraverso un cumulo di ricordi e personaggi, dove si incrociano studenti, veterani di ritorno dalla guerra in Afghanistan, trafficanti e un covo di gatti nel quartiere del Komsomol. Come nella tradizione del post-modernismo americano, anche in Victory Park incontreremo grandi marchi del Novecento come Levi’s o Wrangler — eppure se da un lato della barricata da guerra fredda la narrativa racconta il marchio inserendolo naturalmente all’interno del paesaggio capitalista à la Don DeLillo, da quest’altro lato la parola Levi’s diventa un atto di trasgressione, dove si incrociano i trafficanti di marche straniere che rivendono a fanatici, e i tentativi dei produttori armeni di imitare giubbotti e jeans americani per appassionati. Kiev è una città antichissima, origini che risalgono fino allo stato del Rus’ di Kiev: Nikitin la restituisce alla letteratura in un momento cruciale della sua storia, quando sulle sponde del fiume Dnepr qualcosa sta per succedere.
“Gli imperi crollano ciascuno a modo suo, ma il loro crollo è sempre preceduto da un indebolimento del potere, che conduce all’inevitabile comparsa di piccoli despoti di provincia, la cui forza cresce inavvertita e altrettanto inavvertitamente diventa assoluta. Gli avvenimenti nel parco suggerivano al vecchio che uno di questi era già apparso, ed era molto vicino, vicinissimo.”