Sono passati cinque anni dalla morte di Lucio Dalla, e oggi, 4 marzo 2017, sarebbe stato il suo 74esimo compleanno. Sulla falsa riga del nuovo film-documentario di Riccardo Marchesini, in cui personaggi di alcune sue canzoni prendono vita e si rivolgono al loro Dalla per raccontare e raccontarsi, una figlia di Bologna – come tanti -, possibile passeggera di un “treno a vela” partito in ritardo, ci ha inviato una lettera per Lucio.
a cura di Micol Gelsi
Caro Lucio,
ti scrivo… e questa volta non è per distrarmi.
È curioso come tra coloro che hanno già scritto di te, in pochi lo abbiano fatto come se stessero parlando con riverenza e idolatria di una stella della musica italiana. Perché la maggior parte – indipendentemente dal fatto che ti conoscesse o meno – lo ha fatto come se parlasse di un amico, un amico che in qualche modo ha saputo ascoltare, che ha dato buoni consigli senza presunzioni, con cui si sono trascorse delle belle serate in compagnia, magari non dall’inizio, ma fino alla fine, fino al momento in cui ci si lascia davanti alla porta di casa e si fuma l’ultima sigaretta, sotto quella luna di città che tu hai così tante volte descritto.
Devo ammettere, a principio, che per molto tempo io invece ti ho dato per scontato.
Non che non mi piacessero le tue parole, immancabilmente adagiate sui quei ritmi a volte jazz, a volte rock e a volte soul. Penso che si trattasse, piuttosto, del fatto che durante la mia adolescenza avessi smesso di ascoltarle, ascoltarle nel senso di ascoltarle per davvero, le tue storie; come quando camminiamo per le strade della città in cui siamo cresciuti, e arriva quel giorno in cui smettiamo di percorrerle facendo caso ai dettagli, agli scorci, e abbiamo bisogno di vedere il brillio di quelle immagini riflesse nell’occhio di qualcun altro per renderci conto della loro bellezza.
Cinque annetti fa, senza preavviso te ne sei andato, facendo la fortuna dei periodici settimanali che nelle più fantasiose combinazioni hanno iniziato a ripubblicare tuoi album e tributo-compilation dei tuoi “Grandi successi”.
Mia nonna ha comprato la raccolta Caro Amico ti scrivo…, quella prodotto nel 2002 dalla BMG Ricordi, e per settimane quel CD ha girato ininterrottamente nel nostro stereo scassato (credo le dispiacesse di non avere più occasioni per incontrarti e dirti che con 4/3/1943 avreste meritato di vincere Sanremo). Allo stesso tempo alcuni amici, studenti fuorisede da poco approdati a Bologna, nell’entusiasmo del ritrovarsi tra le ceneri di quella che un tempo era “L’anima del ’77”, sotto l’insegna di uno spirito a metà tra il nostalgico e il patriottico, hanno cominciato ad inserire nelle nostre playlist notturne, diversi dei tuoi migliori pezzi; ed io, più nolente che volente, ho ricominciato a prestare attenzione a quello che dicevi.
Dietro l’irriverenza del tuo tono folk-ironico e votato ad un quasi irritante buonumore, dietro ad una visione tendenzialmente ottimistica di ciò che accade e accadrà, e dietro a quelle espressioni pagliacce incorniciate dalle tue sopracciglia spettinate (che sono riusciti a portare in dimensione reale addirittura sulla copertina di Rolling Stone, ti rendi conto?), ho cercato di immaginare quale fosse il nascondiglio in cui celavi le briciole di amarezza che la vita ti riservava.
Penso che tu le vincessi lavorando come un pazzo, imparando nel corso degli anni a non prenderti mai troppo sul serio, con la passione del jazzista e il talento del direttore d’orchestra, ma soprattutto ammettendo le umane insicurezze dell’artista.
Quando nel 1977 hai interrotto la collaborazione con Roversi e ti è toccato alzare le vele, sei stato capace di tirare fuori una poetica tutta tua, caratterizzata dalla presenza di una dimensione lirica che incalza, con la più spensierata delicatezza, quella della nostra più intima e domestica quotidianità.
Così che la straziante condizione di un amore non corrisposto, magari un giorno mi capiterà di raccontarla semplicemente come “io che sto morendo, e tu che mangi il gelato”, e di pensare ai veri rivoluzionari come ai pesci, “che anche se pensano da muti sono difficili da bloccare, perché sono protetti dal mare” (vs. chi invece non lo fa, il toro che “che vuole un Rolex d’oro, un nuovo telecomando per non cambiare mai, ed un torero vero per non pensare mai”), e addirittura di immaginare la morte come “una banale caduta sotto una leggera nevicata”, auspicabilmente “tra gatti che non hanno padrone come me, attorno a me”.
Ieri sera sono venuti a trovarti nella tua casa in Via D’Azelio n.15 alcune tue vecchie conoscenze: c’erano Pupi Avati, (cha ha raccontato di quando, per invidia o per amore, ha avuto la tentazione di buttarti giù da uno dei pinnacoli della Sagrada Família ai tempi delle tournée con la Rheno Dixieland Band), Rita Pavone, divertita e scattosa come al solito, Alessandro Heber che ha letto un testo che avevate scritto insieme in studiolo a Bologna e ha detto che lo inserirà tra le sue Reading (lo so, forse ti sei perso questa tendenza anglofona che ci sta conquistando, non credo saresti riuscito a farci l’abitudine), poi Enrico Rava, che ha suonato per te Over the Rainbow, e molti altri. In Piazza dei Celestini erano in tanti ad assistere allo streaming. Non quanti come al concerto in tuo ricordo nel 2013, (mai mi era capitato di vedere il centro così congestionato come in quella occasione), ma quando sono andata via due coppie di anziani hanno detto che era prevedibile sarebbe stato pieno, <<Dalla è come uno di famiglia, continueremo sempre a sentilo vicino; lui continua a vivere in queste strade, tra bar e salette parrocchiali, non ci si stupirebbe a trovarlo domani a fare colazione in Santo Stefano>>.
Dalla ha cantato da bolognese l’essenza dell’essere siciliano, da gay il profondo amore per le donne, e il desiderio di evasione quando probabilmente già sapeva da qui non avrebbe più voluto spostarsi. Se all’inizio del XX secolo Diaghilev (fondatore dei Balletti Russi), diceva a Cocteau: <Stupiscimi!>, Lucio direbbe semplicemente:
<Guardate, perché la grande sorpresa ci viene da mondo>.
Quindi ora chiudete questa pagina e mentre guardate fuori ascoltatevi Viaggi Organizzati, e non potrete che non pensare a lui come a quel frammento di cielo dietro l’angolo della vostra finestra.