L’età dell’ansia e dello Xanax

La scorsa primavera il Washington Post ha provato a indagare l’influenza dello Xanax sulla musica americana contemporanea, un po’ come un tempo è successo nella gloriosa tradizione di droghe e rock’n’roll. Qui però parliamo di un farmaco, la mistica di LSD ed eroina è lontana, nel dettaglio parliamo di un farmaco che prova ad alleviare l’ansia, o il panico. Se i Jefferson Airplane – e l’era Woodstock in genere – invitavano ad aprire le porte della percezione e al lontano viaggio verso l’immaginifico altrove delle nostre menti, contro che tipo di realtà stiamo facendo i conti quotidiani oggi se si inizia a parlare dell’influenza dello Xanax sulla musica?, e quindi sulla cultura in generale.

Alex Williams, sulle pagine del New York Times, ha suggerito il nome di Stati Uniti dello Xanax per descrivere gli Usa contemporanei: non più la nazione devota al Prozac, non più gli anni Novanta della depressione, di Prozac Nation, della scena di Seattle, dei giovani slackers americani in cerca di un balsamo per il proprio disagio. Oggi – aggiunge Williams – l’ansia ha sostituito la depressione come stato d’animo americano contemporaneo. E, volendo prendere per vera la vecchia storia dell’influenza della cultura americana, forse è tempo di fare i conti con le nostre ansie post-moderne, e capire se di qui dall’Atlantico anche noi siamo diventati figli di quest’ansia, se la sentiamo addosso, se quell’alito di contestazione che veniva dal Nevermind dei Nineties, figlio della nostra indifferenza da dannati del caso, e dei nostri umori depressi, sia diventato nel frattempo qualcosa di più simile a una sensazione di disincanto e ansia. A questo proposito sarà interessante notare come la moglie di Chris Cornell qualche mese fa abbia avanzato l’ipotesi che il marito fosse morto per un mix letale di farmaci prescritti contro l’ansia. È la stessa generazione dei Novanta ad essere diventata ansiosa?

Quell’arrendevolezza nei confronti della realtà, che in fondo era una grande indifferenza nell’era del liberismo alla sua massima potenza, oggi rientra dentro la realtà, nella sua carne viva, e diventa ansia di realtà, ansia per l’accelerazione della realtà, per i social media, per la nostra perenne interconnessione con il mondo, per il cinguettio di twitter, per la quotidianità continuamente raccontata e visibile, per il sottile panico da visibilità VS panico da invisibilità, ansia da “quel-che-succede-nel-mondo” ogni giorno, ansia da frontiere, paura dell’altro, paura di se stessi, paura di cadere nel giuoco dei grandi partiti di massa emersi nel frattempo, paura del razzismo o di diventare razzisti, e infine ansia da prestazione, di qualunque genere essa sia.

Se Trump è diventato presidente a causa dell’ansia degli elettori, altri elettori sono diventati ansiosi perché lui è diventato presidente (Alex Williams – NYT)

Si è molto scritto negli scorsi mesi dell’aumento del consumo di Xanax in America dopo l’elezione di Donald Trump. Molti di noi – anche di qui, e io tra loro – hanno reagito mettendo da parte una certa dose di panico preventivo per quell’elezione. Cambiava davvero qualcosa nelle nostre giornate o stavamo cedendo il passo semplicemente a una certa ansia? Le grandi marce dei Settanta contro la guerra o qualche presidente americano erano guidate anche dalla speranza, da sensazioni positive, dalla volontà di costruire un mondo diverso. Le riviste della New Left nate in quel periodo erano rigogliose di speranze. Nei Novanta ci siamo semplicemente arresi, o suicidati in qualche caso. Oggi, nell’era post-Hope obamiana, nell’era del 99% contro l’1%, nell’era di Mister Zara tra gli uomini più ricchi del mondo perché tutti comprano da lui, tua cognata come il figlio del grande imprenditore, l’ansia o il panico da futuro ha qualcosa di irrazionale e negativo insieme. Non abbiamo idea di come uscirne, sappiamo soltanto che ci siamo dentro e non ci piace.

C’è di mezzo anche un certo disincanto.

Ho letto che esiste una connessione tra la New Sincerity e l’elezione di Donald Trump, che questo presidente è il prodotto perfetto del clima in cui siamo immersi, che il vizio della sincerità è andato troppo oltre, che quello che ci aveva consigliato di fare David Foster Wallace, nel suo grido contro lo spirito hipster e fake dei tempi, è stato frainteso. Che la rivoluzione alla chitarra di gente come Daniel Johnston o Cat Power oggi è morta, e resta solo il cinguettio lontano e malato dei tweet generazionali da urlatori di strada. Che la contestazione non è mai esistita, in fondo, e che abbiamo perduto il nostro tempo con le promesse di speranza. Hope andata a male. Ma a chi dovremmo imputare la colpa di aver perduto la speranza? Se siamo diventati disgraziati ambulanti, anime disordinate che provano a battere nuove strade, non è certo colpa del sincero indie rock di Johnston, dell’animata rivoltosa alla chitarra del rock indipendente, delle parole di Wallace, della televisione e dell’influenza sulla narrativa americana da metà degli anni Novanta, delle inquadrature di Wes Anderson. Se ci siamo arrabbiati è anche perché questa sincerità si è incarnata sul volto di Trump in maniera paradossale. In tasca è rimasta una goccia di profumo da tirare fuori all’occasione per brevi parentesi. Per il resto siamo drammaticamente tutti insieme dentro lo stesso palco ad abbracciare la grande cappa conservatrice.

Forse il sussurrato aumento della crescita del consumo di Xanax nello stile di vita americano è solo una pubblicità che prova a provocare da sé un certo effetto per aumentare il consumo del farmaco, come le profezie che si autoavverano: se qualcosa non va appellati allo Xanax. Se ti senti in preda al panico lo Xanax ti guarirà. Ascolta la musica contemporanea figlia dell’era dello Xanax, metti Lana Del Rey, e tutto sarà a posto. Sii il figlio del tuo tempo, e vivi il tuo tempo. Lì fuori non è più il tempo per Woodstock, pace e amore erano i grandi sogni di un qualche rivoluzionario infranto. Ma tu lo sai che non può essere vero, e che oggi quello di cui abbiamo bisogno è solo una panacea contro il futuro. L’arte è spacciata, non ha più alcuna possibilità di creare nuovi mondi e direzioni, non può più essere originale. Tutto è stato detto, scritto, dipinto, urlato, storifotografato su instagram ottimila volte al secondo, il rock è morto, non ci sarà nessuna grande rivoluzione culturale alle porte. Solo Xanax. Ma è davvero questo quello che vogliamo?

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