Nel suo “L’età del fuoco”, saggio edito in Italia da Iperborea nella traduzione di Luca Fusari, John Vaillant mette chi legge in condizioni di comprendere una questione fondamentale: le catastrofi naturali degli ultimi anni hanno una matrice comune, ovvero l’uomo e la sua presenza nell’ambiente. A monte, l’intera crisi climatica in cui ci troviamo è radicata in decenni di sfruttamento indisciplinato dei territori in nome dell’unico dio a cui il sistema capitalista obbedisce: il profitto. Nel nome del profitto interi territori vengono distrutti irrimediabilmente ogni giorno e non senza conseguenze per le comunità attigue. Con “L’età del fuoco – Una storia vera da un mondo sempre più caldo” si aggiungono dettagli sull’evidente legame causa-effetto tra produzione di anidride carbonica, effetto serra e cambiamento climatico, e si va così in profondità nelle spiegazioni scientifiche e nelle prove che è impossibile sottrarsi alla verità. Il clima è cambiato, il futuro porterà solo l’aggravarsi della condizione generale, a meno che non si lavori sulla consapevolezza collettiva e, soprattutto, su uno dei maggiori responsabili dello stato in cui siamo: l’industria petrolchimica. È una speranza vana? Non è dato saperlo, probabilmente lo capiranno le generazioni future, o ciò che rimarrà di loro, però in qualche modo lo stesso Vaillant semina un barlume di speranza dopo le storie e i dati che inchiodano alla verità. Un seme piccolo e timido come un germoglio di amaryllis che nasce dopo la devastazione del fuoco.
Gli eventi: Fort McMurray, maggio 2016
L’analisi di Vaillant ha un preciso punto di partenza: il devastante incendio di Fort McMurray nel 2016. Fort McMurray è una cittadina industriale sorta nel cuore dell’Alberta, più precisamente al centro esatto della zona a rischio per gli incendi, rischio che le industrie della cittadina favoriscono in tutto e per tutto. Il «richiamo del petrolio» ha fatto sì, infatti, che Fort McMurray sorgesse su un territorio ricco di sabbie bituminose, la nuova frontiera degli idrocarburi, la cui estrazione è la più inquinante nell’intera storia dell’uomo. Tutta intorno ai giacimenti e agli stabilimenti industriali c’è la foresta boreale che rimane, nonostante la distruzione umana, «il più grande ecosistema terrestre e include quasi un terzo delle aree forestali del pianeta». La foresta occupa la metà dell’Alberta e costituisce un bioma dotato di cicli regolari di incendi che ne garantiscono il rinnovamento. Quando è arrivato l’uomo questi cicli si sono alterati in maniera irreversibile, fino a creare le condizioni per incendi boschivi, wildfire in inglese, con manifestazioni inedite nella storia e praticamente ingovernabili dalla forza umana.
La continua estrazione dei prodotti petroliferi ha deturpato il territorio, scombinato i suoi cicli vitali e l’ha reso, infine, più vulnerabile esponendolo a una ripetuta distruzione. La più significativa in termini di perdite e devastazione – ma solo fino ad ora visto che il territorio è sotto costante minaccia di nuovi fenomeni incendiari – ebbe inizio il 3 maggio 2016. È proprio l’incendio del 2016, definito da chi l’ha vissuto The Beast, il protagonista del saggio di Vaillant, che parte da una storia vera per spiegare il passato, il presente e il futuro del clima. Uno scenario che non ha nulla di rassicurante, anzi, è cupo e in costante peggioramento.
Il primo maggio del 2016 nella foresta boreale adiacente a Fort McMurray avvampò un incendio che si diffuse con una velocità insolita, favorito dal clima particolarmente caldo e secco, condizioni realizzatesi per colpa del riscaldamento globale della terra. In quella zona «non si vedeva il fuoco da decenni», tuttavia l’evento fu accolto da un scarsa preoccupazione generale, anche quando i primi pennacchi neri di fumo si resero visibili dalla città. Forse doloso, non si è mai potuti risalire all’origine, ma sicuramente favorito, nella sua imponenza distruttiva, dalle condizioni di caldo e bassa umidità inusuali per la stagione. Inusuali per il mondo che eravamo abituate e abituati a vedere fino alla fine del novecento, non per la nuova normalità nel XXI secolo.
Il 3 maggio la comunità della cittadina industriale canadese fu costretta a un’evacuazione di massa repentina; 88.000 persone circa abbandonarono le proprie case. L’impatto in termini di perdite ambientali è stato catastrofico, quello sull’industria estrattiva incalcolabile, milioni di dollari persi anche dallo stato canadese vista la dichiarata dipendenza della sua economia dalle esportazioni mondiali di idrocarburi.
Il grande incendio di Fort McMurray del 2016 fu dichiarato sotto controllo nel luglio dello stesso anno, ma fu definitivamente estinto solo nell’agosto del 2017.
L’indagine di John Vaillant
Vaillant ricostruisce gli eventi dell’incendio del 2016 con le testimonianze dei sopravvissuti, le cronache di quei giorni, ma anche, e soprattutto, con le condizioni a contorno di quella catastrofe ampliando il raggio temporale della sua indagine di oltre un secolo, risalendo agli albori dello sfruttamento energetico dell’Alberta. Territorio ricco di pozzi di petrolio e gas naturale le cui risorse ambientali vengono distrutte da macchinari che estraggono, tritano, drenano. Per accedere all’attuale risorsa regina del territorio, il bitume, si strappa via la foresta boreale; la sabbia bituminosa estratta ha la forma di massi talmente voluminosi e pesanti che esistono macchinari appositi per manovrarli alti come case di tre piani. In questi massi c’è il passato remoto del territorio, fossili compresi, e il futuro energetico di decine di nazioni.
Dopo il lavoro estrattivo, nelle aree di lavoro rimangono solo desolazione e fanghiglia tossica che penetra nel terreno, nelle acque, e riemerge nelle vite di lavoratrici e lavoratori dell’area come malattia incurabile.
Vaillant non molla mai la presa sicura sui fatti e “L’età del fuoco” è, quindi, un saggio radicato nei dati inconfutabili sia scientifici che storici: l’uomo che ha devastato l’ambiente inseguendo energia e ricchezza, con la compiacenza dei governi e dei grandi colossi della petrolchimica, i principali responsabili del cambiamento climatico. Responsabili che fin dai primi decenni del novecento sapevano dell’effetto serra e delle conseguenza che avrebbe avuto sul clima. Ma il qui e ora nella storia umana ha sempre avuto la priorità assoluta, soprattutto se ad accompagnarlo c’erano montagne di denaro.
Come si diceva, l’autore raccoglie dati scientifici, storici e sociologici per ricostruire l’approccio coloniale al territorio dell’Alberta, modello ripetuto in molte altre parti del mondo, ma ricostruisce anche la storie della climatologia moderna che nulla ha potuto per fermare il declino che è il Petrocene, l’era geologica dominata dalla corsa dell’uomo all’energia a tutti i costi, in altre parole «l’età del petrolio». E per definizione questa età del petrolio non può essere scissa dall’età del fuoco, sempre più distruttivo, e dei nuovi fenomeni generati proprio dall’interferenza dell’uomo, fenomeni visti per la prima volta dagli scienziati nell’incendio di Fort McMurray.
Il lavoro di ricostruzione storica e narrativa di John Vaillant è eccezionale, c’è una lucidità di analisi e un’abbondanza di ragionamenti, collegamenti e approfondimenti che rende la lettura avvincente nonostante sia un tentativo di sveglia collettiva.
Scrive Vaillant:
Stiamo dando fuoco a questo fondo fiduciario di energia come se non dovesse finire mai: ogni giorno gli umani consumano circa cento milioni di barili di greggio, e con le cisterne, gli oleodotti, i camion e i treni ne spostano quaranta in giro per tutto il globo.
Ma nella corsa all’energia, prodotto malato del capitalismo e colonialismo industriale, ne vanno di mezzo non solo l’ambiente, ma anche le vite umane.
La combinazione tra ambiente difficile e stipendi alti, unita al fatto che bruciare petrolio sia considerata una specie di virtù, fa sì che a Fort McMurray […] altrettanto fuori scala è il numero delle aggressioni e delle violenze domestiche, dell’abuso di droghe e dei casi di Covid-19, di alcolismo e suicidio.
Questa la condizione di Fort McMurray, la cosiddetta isola felice dell’Alberta.
In conclusione
“L’età del fuoco” di Vaillant si inserisce nel solco dei grandi saggi statunitensi di denuncia – un titolo su tutti “Nomadland” di Jessica Bruder – , e, nella stessa maniera, riporta i rischi del capitalismo nella giusta prospettiva. Come Bruder indagava il ruolo centrale dei colossi dell’e-commerce nel peggioramento della qualità di vita di una fascia intera della popolazione statunitense, così “L’età del fuoco” mostra gli effetti della corsa all’energia. Il saggio di Vaillant non è un lamento facile preda dei negazionisti, ma suggerisce dati e un metodo di ricerca dell’informazione valida soprattutto per le persone consapevoli. Il Petrocene riguarda ogni essere umano, così come riguarda tutte e tutti, anche qui in Italia, la questione ambientale legata all’estrazione degli idrocarburi. Del resto è notizia recente che non certo nella lontana Alberta, ma nella vicina Basilicata, in Val d’Agri, si pensa di procedere con le attività dell’industria petrolchimica fino al 2068. Ma a quale prezzo?