Gore Vidal un giorno ha detto che: «Oggi tutto è cinema; l’unica cosa che praticamente cambia è dove e come lo si vede», eppure, a me, è sempre piaciuto andare al cinema. In quelle sale di provincia, con i posti tutti sullo stesso piano e che se ti becchi un ex giocatore di basket non riesci a vedere una parte dello schermo. Di quei cinema raccontati da Tornatore e da Bertolucci e che, fra tutti i posti di una piccola città, ancora mantengono lo strano sapore culturale degli anni passati, quando andare al cinema non era soltanto un passatempo ma anche un luogo di comunità, prima che arrivasse internet. L’immaginario e il luogo dell’incanto. Metri di pellicole su cui i registi hanno sudato per lasciarci trasportare lontano per un’ora e mezza, indipendentemente dal contenuto e dal genere. Musei di arte in movimento e luoghi da primo appuntamento, che rischiano di scomparire, forse una volta di più.
Entro il 2014 la pellicola sarà bandita, in nome di una rivoluzione digitale che coinvolge sempre più ogni aspetto delle nostre vite, rendendo più snelle le produzioni, riuscendo a limitare i costi e permettendo un approccio più diretto ai film, da entrambe le parti dello schermo. Si tratta del tentativo di ricucire il rapporto con gli spettatori, perduti nello tsunami dello streaming, e ritornare competitivi, sfruttando le grandi potenzialità, in termini di qualità dell’immagine, che il digitale oppone alla classica pellicola. Il rischio è che, però, le sale cinematografiche più piccole affondino definitivamente nella corsa all’innovazione, non potendosi permettere la conversione dalla pellicola agli strumenti di ultima generazione.
Lavoro duro quello del gestore dei cinema di provincia, che non si ripaga con i biglietti, che soltanto grazie alla passione continua a portare ovunque un’idea di cinema opposto a quello delle multisale, luna park animati, in cui il film è contorno per negozi e ristoranti di tendenza. Questa rivoluzione digitale, già in atto in Europa (in Belgio e Norvegia la conversione sarà totale a fine anno), costerà ai piccoli cinema tra i 60 e 70 mila euro, a fronte di un calo dei biglietti di circa l’8% nel 2012 (e le previsioni per il 2013 sono tutt’altro che buone). Un investimento che, in Italia, pochi si potranno permettere e che significa perdere, per certo, un grande numero di proiezioni indipendenti e di qualità. Se il cinema italiano era già in crisi, venendo a mancare i luoghi in cui ancora un certo tipo di proiezioni riusciva a vivere e svilupparsi in maniera indipendente (il “caso” di Bellas Mariposas e I Giorni della Vendemmia sono ultimi fra tanti), la decadenza sarà completa. Lo sviluppo del cinema, quello d’essai e più di ricerca, da sempre si è basato sulle piccole sale, non potendo attirare veramente grandi pubblici, e la loro scomparsa non può che inevitabilmente ridurre la portata del movimento.
Il digitale, però, non è necessariamente un male (come spiega benissimo il documentario Side By Side, ancora inedito in Italia). La possibilità di rendere produzione e distribuzione meno costose aprirà un ambiente che, da sempre, appare “esclusivo”. Come è accaduto con la fotografia anche il cinema si aprirà a nuove idee e nuove produzioni che, fino ad ora, erano legate soltanto a realtà virtuali come YouTube o qualche Festival particolarmente illuminato. Ma, come abbiamo visto con l’avvento della Reflex-mania, quantità non significa sempre qualità.
La partita ormai è iniziata da qualche anno, con l’arrivo delle produzioni in 3D, ed è forse ben più complicata dell’allontanamento dalle sale degli spettatori. Perché nei cinema d’essai, luogo per appassionati o individui in fuga dalla realtà, la cultura cinematografica di un tempo ancora riusciva a sottrarsi dalla folle competizione industriale e a ritagliarsi un ruolo, oramai sempre più immaginario, di cultura diretta.
Poco tempo fa c’è stata la festa del cinema con prezzi vantaggiosi, i festival dedicati a quest’arte sono sempre di più, finalmente alcune produzioni di registi emergenti iniziano a farsi strada, avvantaggiate dalle grandi capacità di comunicazione dei social network. Siamo davvero pronti a perdere queste isole di provincia?
Ero diventato membro di quella che in quei giorni era una specie di massoneria, la massoneria dei cinefili, quelli che chiamavamo malati di cinema. Io ero uno degli insaziabili, uno di quelli che si siedono vicinissimi allo schermo. Perché ci mettevamo così vicini? Forse era perché volevamo ricevere le immagini per primi, quando erano ancora nuove, ancora fresche, prima che sfuggissero verso il fondo, scavalcando fila dopo fila, spettatore dopo spettatore, finché, sfinite, ormai usate, grandi come un francobollo non fossero ritornate nella cabina di proiezione. (The Dreamers)