Inserite la parola blog nella searchbar della coscienza di massa. Usciranno articoli a base di interrogativi spezzati su chi siamo/da dove veniamo/ che cosa twitteremo per cena. Cut the crap. Non siamo più nel 2005. Nessuno si può permettere quest’entusiasmo naif e questa vaghezza accomodante mista a soggezione dell’ignoto nei confronti della blogosfera. Nessuno si può permettere ancora di pensare ai blog come se fossero una cosa successa l’altro ieri mentre stavamo dormendo. Come se ci fossimo svegliati una mattina con in crampi da sbornia e ci fossimo trovati Altervista nuda nel letto. Ma soprattutto nessuno si può permettere ancora i blog.
Un blog è un diario personale. Una tribuna da cui esprimere i tuoi pensieri ogni giorno. Uno spazio di reciproca collaborazione. Un palco per i tuoi interventi politici. Una finestra per le notizie dell’ultima ora. Una raccolta di link. I tuoi pensieri più intimi. I tuoi pensieri per il mondo.
Blogger.com ha pagato qualcuno per scrivere questa roba, dando un quadro abbastanza chiaro su quella che è la natura di questi siti. O meglio che è stata. Perchè quella in cui ci troviamo è un’era post-personal blog. Soltanto che i blog sembrano non averlo percepito. Il mare magnum del diario personale ha raggiunto un livello di saturazione tale da non riuscire più a competere con se stesso.
Il blog è prima di tutto un tempio dell’ego, uno spazio di personal branding emotivo nel quale chiunque si è sentito in dovere di accorrere a promuovere il suo niente interiore, dare voce alle proprie fregnacce in uno slancio potentissimo di legittimazione dell’irrilevante. E il problema dell’irrilevante è che non richiede nè stimola un’interazione che non sia una grattata di palle. Quello che ne è conseguito è stata la creazione di un territorio franco dello sfogo scatologico, della caciara persistente, della chiacchiera vacua, della gratuità violenta, dell’anonimato paraculo.
E’ un nostro problema? No assolutamente. Se non fosse che il moltiplicarsi esponenziale di questo tipo di contenuto ormai autotrofo, autogeno e soprattutto scatofilo ha portato all’inflazione e la svalutazione di tutto quello che è user generated content.
I blogger dovevano essere i cavalieri dell’apocalisse capaci di smistare dati, selezionare contenuti d’interesse o autoprodurne e incanalarli nella cloaca massima della rete. Blogger del genere ci sono stati e ci sono ancora. Ma non fanno esattamente media. Vi lascio da soli a fare un rapido calcolo percentuale.
I “nuovi narratori della rete” (cit. Lipperini) sono stati per anni troppo impegnati a cercare di cavalcare tendenze che cavalcano denaro, a costruirsi un’autorevolezza aggregando consensi, a prendere il patentino di opinion making senza neanche saper pedalare, a perdersi nell’hobby circolare e masturbatorio della microfama, in cerca di un pubblico disposto a plaudere passivamente al diktat della condivisione isterica del nulla. Un delirio di contenuti marginali, inattendibili, inconsistenti, che è esploso in una metastasi all’interno della rete.
Eh ma non è mica tutta colpa dei blogger. E’ colpa dello spam. Dei fottuti bot.
Lo spam e i fottuti bot potete trovarli a giocare a palla rilanciata a Rimini, da qui a domenica.
Certo, non troverete soltanto loro. Troverete anche gente che sul pilastro del blog ha fondato webzine di tutto rispetto. Troverete gente che fa informazione, e soprattutto disinformazione degna del vostro tempo. Troverete gente che senza fare nessuna di queste cose, magari soltanto condividendo il suo umile scibile o il manuale ikea del suo mondo interiore, si fa leggere fino all’ultima riga. Gente che fa capo a blog della demenza e del nonsenso più totali, ma una demenza e un nonsenso indimenticabili e indispensabili.
Salutatemi queste 4 persone.