Cinquecento anni fa moriva Leonardo Da Vinci, e davvero non sorprende se sono (e saranno) tante le iniziative e i tributi in ricordo di quello che è stato un uomo che ha lasciato un’impronta indelebile sulla cultura e l’immaginario dell’intera umanità. Chissà se qualcuno ci avrebbe scommesso all’epoca, che il figlio di una fugace relazione consumatasi sul finire del Quattrocento tra una contadina e un notaio, sarebbe diventato uno dei più influenti e geniali artisti dell’intera storia dell’umanità. La curiosità insaziabile del giovane Leonardo, mescolata al suo enorme talento, ne avrebbero fatto un genio universale: artista, ingegnere, scienziato, pensatore umanista, inventore di sogni. E fa niente se Dan Brown abbia contribuito a dar manforte a una particolare forma di marketing editoriale intorno a quest’affascinante figura; d’altra parte se Brown ha scelto di ricamare una storia che mescola vecchie leggende templari e misteri apocrifi intorno a un presunto Codice Da Vinci e non Buonarroti, un motivo ci sarà. Possiamo trovarne traccia nel fascino che esercita quel sorriso indecifrabile della Monna Lisa, o nel mistero che avvolge il ritrovato e poi scomparso Salvator Mundi (si tratta davvero di un quadro di Da Vinci?, è legato a un culto di San Giovanni?, e come diavolo è sparito?).
E poi c’è quella controversa Ultima Cena. Nessuno aveva mai osato scegliere il momento in cui Giuda viene allo scoperto per rappresentare la cristianissima ultima cena: nell’affresco di Leonardo (consumato dal tempo) invece il Cristo centrale sembra essere l’unico personaggio che mantiene la calma, mentre gli apostoli intorno sono tutti agitati da sentimenti, scombussolati da interrogazioni intime – in movimento. Chi è il Giuda?, sembra essere la domanda che si agita su tutta la rappresentazione sacra. E allora è già chiaro quanto a Leonardo piaccia giocare al profano con il sacro, provocare domande e curiosità: irrequietissima voglia di conoscere.
Quella di Leonardo è in fondo la storia di un uomo molto curioso, che si sposterà tra corti e mecenati in piena epoca rinascimentale. È probabilmente dopo aver scoperto una vocazione artistica, o solamente per imparare un mestiere, che entra nella bottega di un artista fiorentino alla corte dei Medici, il Verrocchio. In quel momento l’Italia – per come la conosciamo oggi – ancora non esisteva: a dare un’occhiata alla mappa della fine del Quattrocento il paese somigliava a una costellazione di stati, ducati e confini. E così salta all’occhio quanto la confusa narrazione a riguardo di questa nazione, sia in realtà una costruzione piuttosto recente: tanto che quando Leonardo si sposta dalla corte di Lorenzo il Magnifico nella Repubblica di Firenze per andare a servizio degli Sforza e il Ducato di Milano, possiamo dire che intraprende già una sorta di viaggio all’estero. Si narra che Firenze gli stesse stretta, eppure proprio da lì partiva la spinta propulsiva di un Rinascimento che avrebbe contagiato man mano anche Milano, e Roma, dove migrerà invece un altro genio e rivale: Michelangelo Buonarroti. Immaginate quel meraviglioso contagio di arte e cultura che da fine Quattrocento attraversa la penisola che oggi chiamiamo Italia, scavalcando le Alpi fino a quella terra che oggi chiamiamo Francia, dove Leonardo scelse di andare a finire i suoi giorni portandosi dietro qualche tela a cui lavorava da anni, e che lì resterà. Leonardo Da Vinci è il prototipo dell’uomo universale di quest’epoca, separata da confini, ma ricchissima di scambi e visioni artistiche.
In realtà Leonardo non è stato un pittore così prolifico come ci si potrebbe aspettare: le tele attribuite all’unanimità a suo nome sono poche, e ai tempi le botteghe erano dei veri e propri collettivi artistici. Nel suo racconto di aneddoti sulla vita di Leonardo, Giorgio Vasari ricorda come il Verrocchio avesse deciso di abbandonare la pittura dopo aver visto la mano del suo allievo emergere maestosa da una tela di cui si stava occupando la sua bottega; la superiorità di Leonardo e la distanza dal maestro avrebbero causato la disperazione del Verrocchio. Chissà però se sia vero, o si tratti solo di una di quelle leggende che tanto hanno contribuito a rendere Da Vinci la figura che ci è stata tramandata. Chiacchiericci ci sono anche sulle relazioni d’amore di Leonardo con i suoi allievi, una volta diventato maestro di bottega, come quella con l’allievo Salai. E sull’omosessualità del grande artista aleggia anche una denuncia per sodomia nella Firenze medicea, caduta nel nulla solo perché tra i grandi accusati figurava il nome di un personaggio importante imparentato ai Medici. Ma le cose eccezionali di Leonardo da Vinci sono altre, prescindono da biografia e leggende, e non riguardano affatto il se andasse o meno a letto con uomini a tarda sera dopo aver trascorso la giornata a interrogarsi su come l’uomo avrebbe potuto volare un giorno.
Tra i lasciti eccezionali c’è ad esempio lo studio del corpo umano, immortalato splendidamente nell’Uomo Vitruviano – diventato così famoso e inestirpabile dalla memoria umana che ce lo ritroviamo sotto gli occhi persino quando paghiamo un caffè al bar con una moneta da un euro, o lo guardiamo stampato su alcune bottiglie di vino Chianti in edizione dedicata a Leonardo. In quel disegno è racchiuso l’antropocentrismo dell’umanesimo, una piccola rivoluzione del pensiero. L’osservazione del corpo umano sarà utile a Leonardo anche nella pittura, ovvero quando dovrà rappresentare i volti umani, riuscendo a fare dell’arte una vera e propria scienza, che usa la prospettiva aerea, i colori e le sfumature per creare l’illusione all’occhio umano di cogliere la profondità di campo. È così che Leonardo immortala il volto umano, ammiccando sorrisi e sguardi, e riesce persino a creare l’illusione del movimento grazie ai colori e alla disposizione dei corpi sulla tela, come accade nella Dama con l’ermellino, dove busto e testa seguono due direzioni diverse. Se guardiamo a quello che c’era stato prima, Leonardo è un rivoluzionario.
Cinquecento anni dopo la sua morte, la figura di Leonardo Da Vinci è diventata così conosciuta da essersi conficcata letteralmente dentro la cultura di massa: i misteri che nel tempo hanno avvolto gli immaginari che si sovrappongono sulla Gioconda, hanno reso il quadro quasi un oggetto di culto del nostro tempo, tanto da meritare mappe segnaletiche speciali all’interno del Louvre. Quel ritratto della Monna Lisa a cui Leonardo lavorò fino alla fine dei suoi giorni in Francia, fa ormai parte di un immaginario universale, come pure la barba lunga catturata nel celebre Autoritratto, e che ha donato a Leonardo l’aura di un eterno saggio nella nostra memoria. Eppure quel vecchio saggio non faticava a definirsi candidamente e paradossalmente un omo sanza lettere, come se provasse disagio e si sentisse monco a muoversi dentro il suo tempo senza conoscere il latino e il greco. Ma sono passati cinquecento anni abbondanti, e le celebrazioni tendono a perdonare quello che probabilmente i suoi contemporanei non gli avevano perdonato. Forse aveva finito per lasciare di nuovo Firenze perché non sosteneva più la vista del David scolpito dal più giovane Michelangelo passeggiando per le strade della sua città. O forse stava seguendo più semplicemente un’agitazione universale, il furore di gettarsi alla scoperta di altri mondi. E da autentico uomo universale non si può che immaginarlo felice di sapere che oggi le sue opere si trovano nella sua Firenze, nella sua Italia, così come in Francia, in Inghilterra, in Polonia, negli Stati Uniti, in Russia — probabilmente pure negli Emirati Arabi Uniti. Una rocambolesca avventura di eventi che ha reso Leonardo ancora più universale. E intanto l’uomo è riuscito davvero a volare.