Leggere Jack London a cent’anni dalla sua morte

Un classico della letteratura ha numerose sfumature che lo rendono tale. Una di queste potrebbe consistere nell’aspetto che rende un romanzo, un racconto o una poesia sempre attuale. Nonostante il tempo trascorso dalla sua pubblicazione quello che conta è il riverbero che si avverte dal suo concepimento ad oggi. Un riverbero che riesce a falsificare l’età cronologica di un libro fino a renderlo un macigno caduto da un’altezza abbastanza contenuta nel presente. Il passato si ripresenta e con esso rivive la realtà trascorsa.

A distanza di cent’anni dalla sua morte, l’esempio di Jack London rientra in pieno tra gli scrittori mai stonanti, come se fossero degli irriducibili e intramontabili Highlanders. Preparare un fuoco (Feltrinelli, traduzione di Davide Sapienza) è uno dei suoi racconti più famosi. Un testo che narra la vicenda di un uomo che deve raggiungere l’accampamento dei suoi compagni di viaggio nel bel mezzo di un freddo gelido di oltre 45 gradi sotto lo zero. Detto così potrebbe sembrare qualcosa di molto banale. È chiara la difficoltà che si presenta all’uomo e al suo husky: con una temperatura del genere si rischia di morire assiderati. Ebbene, smembrando la trama sino a raggiungere il midollo, la morte coglie l’uomo sul finale, decretando la chiusura di un percorso già annunciato a gran voce sin dall’inizio. La narrazione potrebbe chiudersi nel giro di poche righe, se non fosse per i tasti posti in alto toccati da London.

Il freddo, l’avventura e la solitudine sono le prime parole che risalgono a galla dal fiume che costeggia la strada battuta dall’uomo. Una narrazione che vede nel suo protagonista il principale avversario della natura spietata che ha sempre affascinato lo scrittore americano. In poche pagine prende vita una sfida che non conosce limiti, e che solo il fuoco può soverchiare – infatti al primo colpo ci riesce. Durante il cammino, fiammiferi e rametti diventano oggetti conduttori di un’esistenza che arranca nella natura che non smette mai di sorprendere, quella natura imprevedibile che stringe nella sua gelida morsa le vene del viaggiatore fino a spezzarle. I fili che lo tengono ben collegato alla coltre di neve, si dissolvono quando al primo tentativo della seconda sosta la neve cade dritta su quello che era un principio di fuoco. Pur di combattere, il freddo affossa il caldo in tutti i modi possibili, anche quando l’uomo medita di ammazzare l’emblema della scaltrezza che lo affianca ovvero il cane, lasciando entrare in gioco la disperazione.

È una lotta ad armi impari che da sempre l’essere umano si illude di combattere. Le metafore estratte negli anni da Preparare un fuoco sono state molteplici, ma quella che si incontra in superficie resta la più solida di tutte. Il binomio uomo-natura si sopraeleva con tutta la sua forza fino a soccombere alla stessa. Un’illusione che Jack London teneva ben presente nei suoi testi nonostante il suo spirito all’insegna dell’avventura, della scoperta del selvaggio. Un binomio in cui è relegata la stessa unicità che rende un testo degno del suo essere classico, solamente che in questo caso il passato non è mai divenuto tale, bensì è il tema che resta ancorato ad un presente mutevole. A cent’anni dalla sua morte, la natura cara a London non è stata ancora scavalcata dalla tecnica ingombrante. I suoi ritmi accusano il cambiamento, ma non si abbassano dinanzi al progresso. Reagiscono. Un dibattito questo che lascia intravedere quanto pesi la centralità di un binomio più che mai attuale. Un binomio sempre vivo. Il gesto del protagonista, che sul finale si lascia andare alla forza del freddo, rimane l’unica via di fuga alla tormentata sorte che va figurandosi. Una conclusione sì aspettata, ma che sotto sotto ancora non è digerita dall’uomo.

In Preparare un fuoco c’è questo ed altro ancora. Nel cammino dell’essere umano si può incontrare la necessità che esige la stessa vita: avverte il bisogno di perdersi, di isolarsi e di arrancare per vedersi dal di dentro, e una volta misurata e conosciuta per i suoi meandri, pronta a partire per nuove rotte, nuovi orizzonti. La neve diventa un ostacolo a cui è difficile trovarvi rimedio. La bassissima temperatura è lo sfondo adatto che congela gli sguardi diretti ad un futuro imminente per consentire un’attenta riflessione, a discapito della forza lungimirante che ci compete. Gli occhi del cane, il suo ringhiare come segno d’allerta alla minaccia umana, mostrano i tratti di una natura attenta che non teme le intenzioni dell’uomo. Tutto si muove a suo discapito, nel segno di una solitudine che non cessa di essere rivelatrice.

Foto di copertina: George Sterling, Mary Austin, Jack London, and Jimmie Hooper al mare
 a Carmel, California
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