Forse il vento sta cambiando, forse no. Esattamente come per la legge sulle unioni civili, si prevede un lungo e travagliato percorso a ostacoli per la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis. Oggi, in Italia, è proibito il consumo, la vendita e la coltivazione di marijuana e hashish, suo derivato, per scopi ricreativi. Oggi, in Italia, uomini e donne, studenti o lavoratori, ragazzini o pensionati, sono considerati criminali perché fanno uso, abituale o occasionale, della magica pianta a cinque (o più) punte. C’è qualcosa di terribilmente perverso in un Paese che non riesce a garantire con la legge i comportamenti diffusi della sua stessa società.
Non c’è bisogno di essere dei fricchettoni coi dread né dei professori di sociologia per capire che il proibizionismo non ha mai portato risultati (vedasi gli Stati Uniti nei ruggenti anni venti); come conferma la Direzione Nazionale Antimafia, <<oggi, con le risorse attuali, non è né possibile né auspicabile non solo impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga, ma neppure spostare risorse all’interno del medesimo fronte, vale a dire dal contrasto al traffico delle droghe “pesanti” al contrasto al traffico di droghe “leggere”>>. Questa è, in sintesi, la dichiarazione di fallimento totale della guerra alle droghe, denunciata dallo stesso DNA nella sua ultima Relazione annuale.
Proprio partendo da questa constatazione di fatto (Pannella c’era arrivato prima!), l’Intergruppo parlamentare per la cannabis legale ha proposto un testo che ha raccolto 218 firme tra PD, M5S, SEL, Misto, FI e SC.
Il disegno di legge, attualmente in discussione alla Camera, consente ai maggiorenni la detenzione di 15 grammi in casa e 5 grammi fuori casa (divieto assoluto per i minorenni). È permessa la coltivazione fino a 5 piante (previa comunicazione) e la possibilità di associarsi a enti senza fini di lucro, sull’esempio dei social cannabis spagnoli. Ovviamente la vendita avverrebbe in negozi dedicati, forniti di licenza dei Monopoli, e resterebbe il divieto di guida in stato alterato. Inoltre, i proventi derivanti dalla legalizzazione sarebbero destinati al Fondo nazionale per la lotta alla droga e a progetti educativi, preventivi e sanitari a cura di scuole e ospedali.
E se qualche giorno fa la corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dalla corte di appello di Brescia sulle pene previste per la coltivazione di piante di cannabis per uso personale (in base all’art. 75 del testo unico sulla droga), sul campo terapeutico si muove qualcosa. Nel novembre 2015, è stato approvato il decreto del Ministero della Salute che autorizza la coltivazione di canapa per la produzione di medicinali, sostanze e preparazioni vegetali. Un altro passo sulla strada già intrapresa dalla Regione Puglia nell’estate 2014, quando si era riconosciuto a livello normativo l’utilizzo della pianta per scopi terapeutici (grazie anche alla coraggiosa battaglia portata avanti dall’associazione LapianTiamo di Racale, primo vero social cannabis d’Italia).
E allora, cosa stiamo aspettando?
Nel nostro Paese la cultura della canapa trova le sue radici ai tempi delle Repubbliche marinare (XII secolo), quando la si utilizzava per le corde e le vele delle flotte da guerra. Ma i suoi possibili utilizzi sono infiniti: dall’edilizia (come materiale per pannelli di fibra, coibentazione, sostituto fibra di vetro, stucco, ecc.), all’abbigliamento, all’agricoltura (favorisce l’impollinazione e l’areazione naturale del suolo, riduce l’utilizzo di pesticidi), o ancora nell’alimentazione (dai semi di canapa si possono ottenere olio, pane e derivati), nei prodotti industriali e per l’igiene personali (sì, anche quelli!).
Non si tratta, dunque, del sogno di qualche nostalgico dei tempi di Woodstock, ma di un’opzione concreta anche per nuove vie imprenditoriali. Se a questo, si aggiunge che con la legalizzazione si sottrarrebbero alla mafia circa 12 miliardi di euro annui (tanto vale il mercato non regolato della cannabis), allora tutto dovrebbe andare.
Provare per credere: negli Stati Uniti (in Colorado), la produzione di marijuana legale ha sottratto gran parte dei profitti ai cartelli messicani, che non riescono a tenere il passo per prezzo e qualità. <<Ve gusta la macogna, chicos?>>