Dall’8 aprile al 31 maggio alla White Noise Gallery di Roma la prima personale dell’artista britannico Lee Madwick
Il silenzio è un elemento forse poco preso in considerazione quando andiamo in un museo a vedere una mostra, o semplicemente osserviamo delle opere da un catalogo, da un libro. Non intendo il silenzio come elemento reale, percepibile intorno a noi, anche perché raramente abbiamo l’occasione di andare ad un’esposizione e non trovarci una confusione tremenda. Intendo il silenzio come parametro valutativo e di analisi di un’opera, ma soprattutto come una sua caratteristica intrinseca ed imprescindibile, che sia primaria o secondaria.
La galleria d’arte White Noise Gallery, situata nello storico quartiere di San Lorenzo a Roma, sembra voler riempire questo vuoto, così dal 28 Gennaio ha inaugurato la “Trilogia del Silenzio” progetto espositivo curate da Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti, declinato in tre diverse mostre intese come i tre diversi momenti di un immaginario videotape. Il primo appuntamento, denominato per l’appunto “Fast Forward”, ha visto riempire gli spazi della galleria dalla personale del fotografo inglese di fama internazionale Jason Shulman. Il suo lavoro è basato sulla capacità di comprimere i migliaia di frame che compongono un film cult in un’unica immagine, in un’unica fotografia.
Arriviamo alla seconda parte del progetto “Stand By”, l’oggetto in questione di questo pezzo, la prima personale italiana dell’artista inglese Lee Madgwick. Il pittore britannico è reduce dalla collaborazione con Banksy al progetto “Dismaland” ed espone nove opere pittoriche a grande formato, oltre ad una speciale installazione nel basement della galleria, denominato “project room”, uno spazio che la White Noise Gallery fornisce agli artisti che ospita per opere originali concepite esclusivamente per l’occasione, costringendoli ad uscire dalla loro comfort zone (ad esempio ai pittori è “vietato” appendere quadri).
I quadri di Madgwick sembrano avere un piede nel passato ed uno nel futuro, uniscono la tradizione paesaggistica inglese di giganti come Constable e Turner ad architetture solitarie e protagoniste di hopperiana memoria, donando al tutto un lustro di contemporaneità che appare assolutamente evidente fin dal primo sguardo. Nei suoi quadri la presenza umana è solo intuita, non sappiamo se le case e le strutture ospitino qualcuno al loro interno oppure siano abbandonate da anni. Proviamo una duplice, opposta, sensazione come se fosse appena successo qualcosa in quel luogo e allo stesso modo come se non succedesse niente da anni.
La presenza dei graffiti e delle crepe, i particolari come le macchie verdi sul gonfiabile nel bosco di Whithin the Realm dimostrano un’attenzione al dettaglio ammirevole, ed arricchiscono l’esperienza visiva che si perde nella ricerca di tutti i particolari del paesaggio e dei suoi protagonisti incontrastati, queste figure architettoniche dal fascino indecifrabile. Nonostante l’intuizione che un prima ed un dopo ci siano stati siamo bloccati in questo presente distopico, solitario e leggermente inquietante ma allo stesso tempo stranamente affascinante e rassicurante. Perché d’altronde se sottraiamo alla nostra vita passato e futuro abbiamo la sola scelta di vivere il momento presente, con la conseguenza di doverci preoccupare solo di ciò che abbiamo davanti agli occhi di non avere ansie per un futuro incerto e nebuloso, né di fare i conti con brutti e dolorosi ricordi. Il silenzio, l’elemento che lega gli artisti e la rassegna della galleria, è anche il collante di tutte le opere di Madgwick. E’ ciò che dona omogeneità alla sua opera, un silenzio a tratti assordante, a tratti dolce e rassicurante.
Lee Magdgwick interpreta quindi quest’ esigenza incredibilmente attuale, ancor di più per un inglese in tempi di Brexit, di congelare il tempo e cercare di fermare i ritmi assolutamente folli in cui siamo immersi, dimenticando passato e futuro e contemplando il presente nella sua indecifrabilità, rimanendo affascinati e perdendoci nell’osservazione.
Un ultimo commento è sull’installazione molto suggestiva realizzata dall’artista nella project room, che non rende assolutamente giustizia raccontata, ma che in pratica con l’uso della quasi totale oscurità ci fa entrare in una delle sue case spettrali giocando a sottrarre piuttosto che ad aggiungere, costringendoci in prima persona a colmare i vuoti volutamente lasciati dall’artista. Se volete vedere questa e le altre opere, e ne vale veramente la pena, avrete tempo fino al 31 Maggio dato che poi Lee Madgwick lascierà spazio all’ultima parte della trilogia del silenzio “Rewind” che vedrà ospite l’artista spagnola Màr Fernandez.