Le sette regole dell’intellettuale bohémien

Se li conoscete, evitateli. Se siete voi stessi, beh.

#1 Background culturale. Celentano è bohémien, perché lo ascoltava tua nonna anche se non aveva l’ipod, Fabio Volo è bohémien, perché non si interessa delle critiche mainstream e intellettualoidi e sforna comunque un sacco di pagine dense di sentimento. Manzoni è bohémien, non quello del libro delle superiori e di quella che non la dà, quello che ha cagato in un barattolino, contro il mondo e la borghesia che lo disgustava. Allevi è bohémien, perché anche Mozart veniva considerato una nullità dai conservatori Bachiani (Citazione da un capitolo a caso di Nymphomanic). Naturalmente cultura solo Made in Italy, perché il km zero lo si fa soprattutto con la cultura. (E, mi raccomando, citare sempre, e fare regali differenti).

Quello che resta della setta del circolo delle lettere scarlatte

#2 Stile sporcomapulitocherimanesempresporco, che l’igiene è importante ma apparire insonni perché si è dipinta la versione haringiana della Cappella Sistina è più necessario. A differenza dell’hipster le toppe sulle giacche, gli occhiali troppo squadrati e la camicia a quadri sono out. Per l’estate invece è consigliata una coppola di cotone traspirante, camicia bianca e gilet, stile contadino siciliano visto in Baària.

Da così a..
Così

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

#3 Ascoltare jazz sempre e comunque, o almeno i Mumford & Sons. Da quando l’indie ha sorpassato i Finley per fan assatanate, e l’opera rimane comunque troppo old, il jazz è il necessario. Non il bebop o il blues, solo Duke E., Benny G. (da non confondere con la playlist di Benny Benassi che è per quando ci si va a scassare in discoteca a Belvedere) e l’intramontabile zio gipsy Django R., scoperto facendo una ricerca su Wikipedia su quanti possiedano davvero il nome Django e se sia riconducibile a una pratica erotica. Jazz is the way e Spotify ne è pieno.

Tentativo n.10: «Ligabue non è Jazz»

#4 Non potendo avere padroni e capi sopra le loro spalle, il leader è Beppe Grillo. «Le espulsioni sono poco democratiche, io sono per la democrazia, ostracizzamoli» e «O dentro o fuori, che in bagno non ci si può stare in due» sono i loro slogan prediletti e sono iscritti alla pagina “Siamo la gente, il potere ci temono” ma credono sia una Ong grillina per il recupero di quelli che non capiscono la sua poetica.

«Non sono fascisti, hanno una concezione patrizia della democrazia alla rovescia»

#5 «Starbucks non è caffè, Ask è il nuovo Badoo, l’Iphone ci ha risucchiato la vita.» Li puoi incontrare a bersi un caffè nel bar del centro mentre discutono del nuovo posto sul Tumblr di Miley Cyrus, da un Samsung Galaxy. Le storie sulla biodiversità, biologico e animalismo hanno lo stesso valore di Kyoto, Lisbona e delle PussyRiot per la politica che contestano.

Momento politica

#6 La canna non si chiama canna, è solo un joint (pronunciato juan alla parigina, non la francese, pronuncia parigina). Che è più internazionale e anche a Kinsasa lo capiscono. Sai mai che il nero che ti vende lo shitto che compri con la paghetta non sappia parlare italiano. Questo non gli preclude il fatto di gridare che “La mafia è una montagna di merda” quando indossano le magliettine di Libera.

Drogarsi fa comunque male

#7 Esultare all’uscita del nuovo film di Wes Anderson ma in pubblico fare gli indifferenti, perché «Dopo che ho scoperto Steven Zweig [Autore del libro da cui è stato tratto, parzialmente, The Gran Budapest Hotel] so che nessuno può imitarlo», ma al cinema sta nelle prime a ridere come un matto insieme ai suoi compagni.

«Comunque la locandina è quella di Von Trier»

 

Che poi intellettuale bohémien non vuol dire nulla, perché non ci credo che a un grillino piace il Samsung Galaxy.

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