“Mia cara Marianne, sono poco distante da te, abbastanza vicino da prenderti la mano”. Sono queste parole struggenti– scritte da Leonard Cohen a Marianne Ihlen – ad aprire il documentario di Nick Broomfield, dedicato alla storia d’amore tra i due. “Marianne aveva il potere di ispirare le persone, tanto da incoraggiarmi a realizzare il mio primo film” spiega Broomfield, che aveva incontrato la donna sull’isola di Hydra nel 1968. Hydra era in quegli anni una sorta di paradiso bohèmien, in cui era possibile vivere senza troppe pretese: uno scenario ideale per Cohen, allora scrittore e poeta di modesto successo. Ed è proprio in questo ambiente perennemente illuminato dal sole che Leonard conobbe Marianne.
Cohen non era però un personaggio facile: “Vorrei poter dire che preferirei trascorrere una notte con Leonard, piuttosto che una vita intera con un altro, ma non è così semplice” afferma l’amica Jennifer Warnes. Musicisti, poeti e scrittori non sono inclini alla vita di coppia; guidati dall’ispirazione, non riescono a concedersi totalmente a qualcuno e la propria arte è tutto quello in cui credono. Marianne ne diventa presto consapevole: il Leonard che aveva incontrato a Hydra – l’autore del difficile romanzo Beautiful Losers – lascia presto spazio al musicista. Quando Cohen arriva a New York, in quel periodo fulcro del revival folk nei cafè del Greenwich Village, è subito notato da Judy Collins, tra le figure più importanti di quella scena. La Collins registra una sua versione di Suzanne, ma vorrebbe che Cohen, in quanto autore, interpretasse il brano dal vivo. Leonard teme però il palcoscenico, tanto da piangere quando vi si trova per la prima volta con la sua chitarra. È solo grazie alla Collins che riesce a portare a termine l’esibizione.
Le donne sono state fondamentali nella vita di Cohen: è la madre Masha ad averlo fatto appassionare alla musica ed è grazie a Marianne che ha scritto alcune delle sue canzoni più belle. “Ho sempre avuto bisogno delle donne e sono stato fortunato perché negli anni ’60 c’era una grande cooperazione tra i due sessi”, spiega la voce fuori campo del musicista. E un’altra donna, Janis Joplin, rivive nelle parole della splendida Chelsea Hotel No. 2, composta dopo la morte della cantante. Il brano racconta le giornate dei “workers in songs” al Chelsea Hotel, quella vita a cui Marianne non si sente di appartenere: “mi hai rovinato” aveva infatti detto a Judy Collins, “colpevole” dell’allontanamento di Leonard.
Mentre la carriera da cantautore di Cohen inizia a produrre i primi successi, il rapporto con Marianne si affievolisce. Eppure, lui la cerca e non la dimentica mai; durante la celebre esibizione del 1970 all’Isle of Wight Festival, introduce So Long, Marianne dicendo: “spero che Marianne sia qui”. Molte decadi dopo, quando Cohen si vede costretto a tornare in tour perché vicino alla bancarotta, Marianne, visibilmente commossa, è tra il pubblico di un concerto ad Oslo. È una delle immagini più toccanti della pellicola, capace di dimostrare il profondo amore tra i due.
Il film di Broomfield è anche testimonianza di tempi che sembrano irrimediabilmente perduti: il Chelsea Hotel, dove Cohen aveva vissuto insieme a tanti altri scrittori e musicisti, è chiuso da anni, e Hydra si è ormai trasformata in località per famiglie borghesi. L’unico superstite del periodo in cui l’isola era una colonia per artisti squattrinati, è lo scrittore Don Lowe. Marianne e Leonard ricercavano quella libertà invocata negli anni giovanili che, con il passare del tempo, diventa sempre più sfuggente. Anche se Cohen diverrà uno dei più grandi cantautori di sempre, mentre Marianne tornerà in Norvegia per condurre una vita semplice, resteranno sempre legati. Per loro, non c’era modo di dirsi addio.