Ci sono molte ragioni per cui la musica può essere considerata l’arte comunicativa per eccellenza: una tra tutte la rapidità di arrivare al cuore delle persone. È imprevedibile e irrazionale come una sequenza di accordi riesca a generare un’emozione, ma se cerchiamo di spiegare cosa accade quando sentiamo all’improvviso la strofa di una canzone che ci piace e di cui sappiamo le parole a memoria, l’immagine più chiara per definire la nostra sensazione è quella di un lampo che squarcia il cielo in una notte di pioggia e di un tuono che subito dopo scuote in profondità anche la terra sotto i nostri piedi. Torniamo sempre dove abbiamo assistito a un temporale, siamo attratti da quel luogo come da una scena del crimine recintata. Se ci fosse un magnete a governare il nostro corpo probabilmente l’attrazione non sarebbe neanche lontanamente così forte.
Capita a tutti, presto o tardi, di incontrare un posto di questo tipo. C’è chi lo scopre da giovane e vive ogni novità con nostalgia e chi, invece, trascorre anni o l’intera esistenza cercando un piccolo mondo dove stare bene e sentirsi a casa. Spazio 211 a Torino è un luogo dove sciogliere infinite matasse di ricordi in bicchieri troppo piccoli di birra, un locale in cui trovare tepore nelle notti gelide di inverno e frescura nello spazio esterno quando la calura mangia anche l’asfalto. In questo maggio che sembra novembre le stagioni si alternano durante l’arco di una sera, ma basta tenere le orecchie ben aperte e non temere le correnti d’aria fredda. Il weekend si apre con il garage rock firmato da Ron Gallo.
A un anno di distanza dalla sua ultima apparizione in Italia, il cantautore di Philadelphia torna per cinque date (Zero Branco in provincia di Treviso, Segrate, Torino, Roma e infine Marina di Ravenna in occasione del Beaches Brew Festival il prossimo 4 giugno). Insieme a lui, sul palco di Spazio 211, il bassista Joe Bisirri e il batterista Dylan Sevey. Ron Gallo sembra Wally, il personaggio creato dall’illustratore inglese Martin Handford che, con la sua iconica maglietta a righe bianche e rosse, ha l’abitudine a mimetizzarsi ovunque. Ron Gallo non ha gli occhiali, ma una maglia a righe che si confonde con le luci e i colori del locale e una salopette di jeans che lo fa sembrare appena uscito da una farm del Minnesota. La parola chiave di questo concerto comunque è headbanging. Impossibile non scuotere la testa a destra e a sinistra (fortunati coloro che sono dotati di lunghe chiome) al ritmo di Kill the Medicine Man o Please Yourself o esplodere di felicità sulle note di Young Lady, You’re Scaring Me che infuocano la sala prima del gran finale. Ron Gallo è tutto quello che nessuno si aspetta: un genio incastrato nel corpo di un ragazzino legnoso. Mai fidarsi, però, delle apparenze perché dietro i grandi musicisti ci sono spesso sembianze da psicopatici o disagiati (ed è questo il caso).
La musica a Spazio 211 non finisce qui, dopo un venerdì all’insegna del rock nella sua forma più pura, il sabato si tinge di nero e cambia provenienza geografica. Prima dell’ultimo appuntamento della stagione con Alosi il 18 maggio prossimo, l’organizzazione promotrice di concerti Bonsai porta sul palco i romagnoli Cosmetic e i marchigiani Be Forest. Il programma della rassegna incentrata sulla musica emergente italiana ha visto coinvolti Scarda, Le capre a sonagli, Le Mandorle, Funk Shui Project e i Gomma. Sonorità differenti che si rivolgono a un pubblico eterogeneo ed esigente. Le due formazioni sono entrambe tornate sulle scene con due nuovi album: i Cosmetic con Plastergaze e i Be Forest con Knocturne. I Cosmetic non sono una band nuova sulle scene, hanno subito rimescolamenti di formazione e arrivano oggi con il loro quinto disco. Nel 2012 Conquiste era entrato con prepotenza nei nostri MP3 in un’epoca in cui Spotify non era ancora il nostro migliore amico e guardare fuori da un finestrino del treno il mare in lontananza sembrava la cura migliore per rialzarsi. Cosa aspettarsi dai Cosmetic dopo tutti questi anni di ascolti solitari? Dal vivo rimane inalterata l’energia, l’incanto e la speranza di chi ha lottato per far sentire la propria voce. Voci sussurrate e chitarre esplosive rimangono il marchio di fabbrica dello shoegaze e di questo gruppo che ci ha consolato e asciugato le lacrime nelle giornate peggiori.
I Be Forest, invece, rientrano ormai tra i nostri appuntamenti fissi. Li potremmo sentire e risentire senza stancarci mai grazie alla voce soave di Costanza, alla vitalità di Erica e al rigore di Nicola. Abbiamo parlato del loro ultimo album Knocturne e ci siamo avvicinati a loro, cercando di entrare nella loro dimensione intima che, soltanto se ci si ferma all’epidermide sembra evanescente. Le colonne di Spazio 211 nascondono i volti, ma non riescono a bloccare le emozioni che arrivano dal palco, potenti, incandescenti, semplicemente reali. Assistere a un concerto dei Be Forest è come partecipare a un rito d’iniziazione al bello o ritagliarsi un momento per capirsi e ascoltarsi. Non è una questione di scaletta, si tratta di un’alchimia difficilmente spiegabile a parole che coinvolge tutti, anche chi è riluttante. La serata volge al termine e la pista del locale si svuota mentre le tracce di un disco continuano a suonare anche se il pubblico è rapidamente defluito. Concerto dopo concerto, Spazio 211 diventa sempre più casa, anche se passano gli anni e i timbri sulla mano sono meno cool il mattino dopo di fronte al capo o ai colleghi in riunione. La bellezza di posti come questo è che qui il tempo si ferma: avere 15 anni o 30 è indifferente, basta aprire gli occhi e tendere le orecchie e non smettere mai di stupirsi.