Le luci della centrale elettrica – Costellazioni

Ci sono quaranta chilometri tra la Via Emilia e la luna, ce ne sono di più tra Milano e Ferrara, e te ne accorgi quando attraversi la frontiera di Piacenza che dall’Emilia ti butta in Lombardia. Soprattutto se in quelle campagne ci sei cresciuto. In questo senso il mondo della balera può entrare in quello dei rave, allo stesso modo in cui finisce per avere a che fare con le Costellazioni di Vasco Brondi e le Luci della centrale elettrica. Il nuovo disco abbandona, ma non del tutto, le sonorità con cui si era fatto conoscere negli anni zero, trasformandosi in un album di sperimentazione e ricordo, ma di una estrema intimità incatenata alla realtà che descrive. Una specie di biblioteca in cui, nel reparto di storia della musica italiana, vai a cercare il manuale di istruzioni per uscire dalle crisi, per quei momenti di passaggio che stiamo attraversando.

Tutto parte da dove era cominciato. Dalle zanzare, dai parcheggi di notte e dal silenzio. La terra, L’Emilia e la luna non è soltanto la prima traccia, ma l’inizio di un percorso che raggiunge il sudamerica e l’Europa, il presente e il futuro. Punto da cui partire e che permette di conservare il legame con l’Italia, durante tutti gli spostamenti che Costellazioni compie. È una corsa piena di cadute e risalite, che non può dedicarsi a un solo sentimento o raccontare un’unica storia. La frammentazione e la quantità di immagini che emergono si alimentano dei cambi impetuosi di genere musicale e nelle scelte azzardate che permettono di rievocare altri mondi. In alcune sonorità c’è un passato da far riemergere, quello dei nostri genitori che si scatenavano nelle discoteche degli anni ’80, in una Rimini tondelliana, quando Battiato era tendenza e sperimentava tanto e faceva successo (Ti vendi bene tu). O nel periodo del punk, come catalizzatore della rabbia e del disagio (Firmamento), in cui la mano di Federico Dragogna dei Ministri, che ha collaborato per l’intero album, si fa più evidente. Poi c’è quel presente che chiede di essere raccontato, per quello che è e per quello che deve essere. In quel futuro che magari si vede poco ma che c’è ancora, contribuendo all’idea generale di un disco che vuole essere fiducioso se non, a tratti, felice. Per raggiungere questo risultato Vasco Brondi sceglie, per la prima volta, di utilizzare il cantato per raccontare le storie piene di cadute e risalite, senza lasciarsi trasportare da delusione e incertezza. In questo senso I destini generali, Le ragazze stanno bene, Punk Sentimentale e Una guerra lampo pop, che appaiono come racconti di una generazione bruciata, di un momento bloccato e pieno di sofferenze sono, in realtà, una richiesta di un momentaneo centro di gravità su cui poter contare anche domani. I brani di Costellazioni collidono tutti insieme, in un mélange che ha a che fare con l’intimo più che con il generazionale, anche quelli a tratti musicalmente più spensierati (Questo scontro tranquillo e Una cosa sentimentale). La fine è un inizio ed è inevitabile, nello stile delle Luci, la componente emiliana che, oltre La terra, l’Emilia e la luna, ritorna ne Il blues del delta del Po e, soprattutto, ne I Sonic Youth. C’è spazio, poi, per una Smisurata Preghiera contemporanea (Padre nostro dei satelliti) e quel Bar sulla via Lattea che assomiglia tanto, forse troppo, a Candidosi, brano del primo Ep, e che tradisce in parte la continua innovazione nei suoni e nello stile di tutto il disco. Dal punk al cantato, dall’urlato al blues, fino al raccontato di Macbeth nella nebbia, perché tutti si aspettavano che una lettura elettrica venisse, finalmente, incisa su cd. L’elettronica diventa calda con le parole, l’introduzione di una varietà maggiore di strumenti e sonorità paga. L’aiuto di Federico Dragogna ha certamente contribuito a una particolare evoluzione dei ritmi, accompagnata da una dose di risoluta ricerca nelle parole e nella loro composizone.

Quel blackout che tanti si aspettavano si è rivelato un’esplosione di colori. Vasco Brondi, a differenza di tanti italiani con un seguito e un’immagine pubblica forte, ha sperimentato tanto rispetto al passato, scegliendo di raccontare se stesso e gli altri, utilizzando tanti generi fondendoli in un cielo fatto di tante nuvole diverse. Una vera biblioteca che attinge al passato per restituirci un futuro che, per una volta, lascia aperta la possibilità di essere felici. Per un disco così, vale la pena di farsi ritirare la tessera e riaprirselo nei momenti più bui.

La Tempesta, 2014

Exit mobile version