Le lettere d’amore di Albert Camus

Tutte le lettere d’amore sono ridicole, scriveva Fernando Pessoa – non sarebbero lettere d’amore se non fossero ridicole, aggiungeva. La figlia di Albert Camus ha recentemente accordato il permesso di pubblicare le corrispondenza amorosa del padre con l’attrice Maria Casarès: 865 lettere che testimoniano la storia d’amore parallela di Camus con l’attrice spagnola. Si incontrano nel 1944 a casa dello scrittore Michel Leiris. La moglie di Camus è in Algeria, c’è tutto il tempo di far scattare l’amore tra lo scrittore e l’attrice. C’è tutto il tempo – anche – di rompere, quando la moglie Francine torna in Francia accanto al marito, e Maria decide di lasciare Albert. Tuttavia, per assurdo, dopo quattro anni si rincontrano per strada, e da lì per tutta la vita Maria sarà la storia parallela a Francine.

La domanda che circola sotterranea nelle nostre menti è: quanto della corrispondenza di Albert Camus con la Casarès – lettera per lettera – ci è utile a farci un’idea dello scrittore franco-algerino, e quanto invece non ci resta che relegare il tutto al puro pettegolezzo. Intrattenimento e/o operazione commerciale.

“A presto”, scrive un Albert acceso dai sensi nell’ultima lettera alla Casarès, “sono così contento all’idea di rivederti che mentre scrivo rido”. Camus non la rivedrà mai, morirà in un incidente stradale con l’editore Gallimard che metterà in chiaro ancora una volta – ove ce ne fosse il bisogno – l’assurdità della questione vita, assunto sin troppo chiaro nelle opere di Camus. Anche qui, nell’estrema lettera di Albert, si presenta alla porta dell’esistenza quell’assurdo e il suo richiamo terribile: mentre scrivo rido perché ti rivedrò, ma è la risata assurda dell’uomo di fronte alla sua miseria umana.

La stessa miseria terribile che ci tocca ne Lo Straniero o per le strade di Orano durante La Peste. L’assurdo è ridicolo, come le lettere d’amore, dove si misura il ritmo del tempo a quanto manca per un bacio e quanta distanza separa. “Ti bacio, ti stringo contro di me fino a martedì, dove ricomincio”, scrive Camus, per quel martedì che non arriverà più. Poiché l’essere umano è un pagliaccio che si prende in giro: finge di non sapere che a ogni angolo di strada non lo attende solo l’incontro con l’amore ma anche quello con la morte.

“Non ci si meraviglierà mai abbastanza che tutti vivano come se nessuno sapesse”, nel Mito di Sisifo Albert Camus con poche parole condensa l’assurdità delle nostre vite. Come se nessuno sapesse l’insignificanza, il terrore, il grido, e l’inutilità del tutto di fronte alla sconfinata verità che eppur si muore, al cui cospetto la rivoluzione galileiana dell’eppur si muove è un nulla.

Per tutta la sua vita Camus ha tentato di ricordarci le verità fondamentali di fronte a cui siamo messi al mondo. Lo ha fatto con le parole (“Perché sono un artista e non un filosofo? È che io penso secondo le parole non secondo le idee”), parole che a noi esseri umani devono essere sembrate così oneste che non è un caso se oggi va di moda la citazione di Albert Camus, e di contro una lotta farsesca da logica del possesso delle parole di Camus. Nessuno in realtà detiene la verità delle sue parole, scalmaniamo qua e là per scoprirle a tentoni nel buio, nei mille fraintendimenti della comunicazione umana, perché le parole di cui ci ha fatto dono Camus sono rivolte all’uomo, a qualcosa che è più profondo e interiore, al sentimento d’umanità che ci scava e di cui nessuno è detentore.

Nello scoprire l’assurdità del tutto, ogni convenzione sociale risulta esattamente ciò che è: puro arbitrio. L’equivoco potrebbe essere quello di pensare che – nel considerare tutto assurdo e arbitrario – non ci sia altra via del nichilismo. Ma scavare sotto questi strati arbitrari fa uscire fuori l’uomo e l’umanità: questo è il sottotesto più disgraziatamente autentico di Camus. “Se crediamo che essere ottimisti è una stoltezza, sappiamo anche che dichiararsi pessimisti quanto alla possibilità di agire in mezzo ai nostri simili per diminuire i mali che ci affliggono e procurare qualche bene, è una viltà”. Per tutte queste ragioni, le lettere d’amore di Camus – e il Camus innamorato – non possono spaventarci. Siamo tutti consapevoli dell’inganno e del ridicolo, in un modo o nell’altro. Persino consapevoli che in questo tipo di mondo, le corrispondenze son pubblicate per venire a noi vendute.

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