Vi confido che scrivere le tre letterine che precedono la parola Soundsystem, a distanza di sette anni, fa una certa impressione.
Impressione perchè Daft Punk is playing at my house è ancora più attuale di parecchi pezzi da selecta da venerdì sera vinilico; impressione perchè parliamo della rediviva band di niente popò di meno che James Murphy, l’uomo che tra l’apertura di un wine bar a Brooklin ed un mediometraggio dal titolo tutt’altro che introspettivo (Shut Up and Play Hits), ha immerso le mani nel fiume della musica americana dagli anni zero fino al gomito e, tra un Sound of Silver (!!!) ed un remix a David Bowie, ha prodotto con la sua DFA gruppuscoli del calibro degli Arcade Fire, oltre a seguire progetti personali come ad esempio lo sviluppo di un algoritmo in collaborazione con IBM che trasducesse i dati delle partite di tennis in input per sintetizzatori (facendoci un disco divertissment dal titolo Remixes made with tennis data).
Ah, anche perché pare che sia stato proprio David Bowie il padrino di questo ritorno.
Tutto questo spiega il perchè di tutta questa attesa dietro il quarto lavoro in studio degli LCD Soundsystem.
Ma dietro tutta questa hype spesso si cela un possibile fallimento con una delusione che a questo punto si farebbe cocente.
American Dream è un disco che già dalla dissonanza visiva che si crea tra il cielo azzurro ed i caratteri neri ed austeri dell’artwork, fa presagire i toni in cui Murphy descriverà la sua idea di sogno americano.
Non a caso sul piano martellato e stoppato di Oh Baby, il primo pezzo in scaletta, una voce rassicurante e dolce inizia dicendo: oh baby, oh baby, you’re having a bad dream, here in my arms.
Other Voice, con una sezione ritmica che farebbe battere il piede a terra anche ad un cadavere e la voce austera di Nancy Whang che, sul finale, vi si staglia sopra e, come in una preghiera dei fedeli, canta “Who can you trust And who are your friends,Who is impossible And who is the enemy” ci restituisce un suono che a primo acchito potrebbe sembrare già noto. Ci sono anche i forti richiami ai Talking Heads, qui nei coretti strascinati, dopo lo saranno nell’uso delle chitarre in Change Yr Mind, ma questo non significa che questi sette anni non abbiano lasciato traccia.
La gran parte del disco infatti è attraversato da una fortissima vena post-punk, presente mai come in questo lavoro, che fa capolino più o meno ovunque, a volte in maniera filologicamente corretta con pezzi come la monolitica How can You Sleep (che pare essere indirizzata al cofondatore della DFA), ora rifacendosi semplicemente alle atmosfere decadenti, a tratti proprio dark-wave, che si ritrovano tanto in pezzi come I Used To, con le sue infinite ripetizioni di I’m still trying to wake up, tanto nella energica Emotional Haircut in cui, su una batteria forsennata, ritornano anche i coretti di byrneiana memoria.
Una summa delle caratteristiche del disco la si può tranquillamente ritrovare in uno dei due singoli rilasciati, Call the Police. Provare per credere.
L’altro dei due singoli, la titletrack, utilizza i riverberi ed un’incedere stranamente lento e 60’s per affidargli frasi come: Oh, the revolution was here That would set you free from those bourgeoisie. Come se anche Murphy volesse dire la sua su quella storia degli ansiolitici come droga da composizione prediletta nell’America contemporanea.
Uno schermo nero (Black Screen) di oltre 12 minuti riprende queste sonorità per ricordare velatamente David Bowie e chiudere così il quarto album in studio degli LCD Soundsystem.
Dalla band di Murphy tutto ci si poteva attendere meno che una copia conforme a quello che già era stato fatto fino a dieci anni fa.
Il tempo trascorso “in silenzio” ha contribuito a raccogliere le idee e, solo quando c’è stato nuovamente qualcosa da dire, gli LCD sono tornati sulle scene, facendolo con un disco diverso dai precedenti, ma che ancora una volta riesce a rendere bene in musica le nevrosi contemporanee.
La delusione è, ancora una volta, sventata!