Ci sono momenti in cui ti rendi conto che la storia si sta facendo davanti ai tuoi occhi. Che quell’attimo ne diventerà un capitolo. Perché se la storia ha infiniti filoni e volti, ha anche altrettanti suoni. In Italia gli Zen Circus, quindi Appino, Ufo e Karim, ne sono stati e ne sono una nota imprescindibile, come lo è la scelta di raccontarsi e raccontare in una «canzone lunghissima, nostra, continuata con altri mezzi» dalle sembianze del romanzo anti-biografico Andate tutti affanculo scritto insieme all’autore Marco Amerighi, quei momenti che li hanno resi tali. È troppo facile chiedersi perché. Perché farlo con una casa editrice come la Mondadori. E perché farlo in un momento in cui raccontarsi – da Instagram ai documentari – sembra essere una pedina fondamentale del gioco dell’apparire. Ma è altrettanto necessario chiedersi: perché no?
La risposta arriva al momento della presentazione del libro al Circolo dei Lettori di Torino. Quando alla domanda «Chi conosce gli Zen da più di due anni?», posta da Gigi Giancursi, «esegeta number one» e altro volto storico della musica italiana nei Perturbazione, ragazzine scalpitanti hanno fatto a gara a chi alzava di più la mano per dimostrare che è così. Ma, bisognerebbe dirglielo, non c’è molto da vantarsi. È comunque meno di un decimo, il loro percorso è molto più lungo, come quello della loro musica che ne ha incrociate tante e tanti. Da Francesco Motta, il cui primo incontro ancora bambino con Appino viene raccontato nel libro. Ai Fast Animals and Slow Kids che agli Zen, e ad Appino, devono l’incisione del primo disco “Cavalli”. «Volevamo storicizzarci e storicizzare – dice lo stesso Appino – raccontare la nostra storia ma farlo a fini narrativi».
Lo dice nel giorno in cui spegne dieci candeline l’omonimo Andate tutti affanculo, per Rolling Stone fra i migliori 100 album italiani di sempre. Non c’è però nell’anti-biografia (se non come lieto fine) che «corre a doppio filo», raccontando i borderline ma ispirati anni Novanta. E finisce nel 2009 «come un vissero felici e contenti, quando iniziammo a vivere di musica, o forse perché il periodo successivo non ci interessava raccontarlo».
Così nel lungo romanzo, oggettivato, come ammette Ufo «per poter esser di tutti», in cui la finzione e la realtà si fondono in nomi e storie vere o ispirate a volti che lo sono, andando avanti e indietro nel tempo come solo delle righe nere su un foglio bianco di carta possono permetterti, parlano di loro. Di quel gruppo di ragazzi che cercano e trovano nella musica la fuga anche se, nel progetto nato tre anni fa, «non è la musica al centro, quella è al centro di noi».
Così ci sono loro, il primo concerto durante un’occupazione scolastica. Loro sul camper, partiti il giorno prima da Pisa per fare solo 130 chilometri fino a San Martino, nel Modenese, temendo che il mezzo non reggesse. Loro in sala prove, alle prese con lavori in muratura e giardinaggio, costretti a dormire nel fienile «perché temevano portassimo gli scarafaggi» per pagare. E di quando lo stesso Francesco Motta, oggi un altro punto di riferimento della musica italiana, iniziò a fare volantinaggio con loro. E poi c’è il resto. Ci sono gli innamoramenti, gli abbandoni, le amicizie e le bugie che le hanno messe a dura prova.
“Sullo sfondo – si legge nella presentazione – di questa storia di prime volte ci sono un’Italia a cavallo fra due millenni – gli anni Novanta del berlusconismo e delle controculture, gli anni Zero del G8 di Genova e dell’11 settembre – e una provincia che, con i suoi lavori mal pagati, le sue famiglie scoppiate e le sue “ragazze eroina”, crea dipendenza, frustrazione e rabbia. Ma anche un amore cieco e disperato per la libertà”.
Quella libertà che li ha condotti a dieci album, un Ep e una raccolta, a venti anni di carriera. A oltre mille concerti, diverse partecipazioni televisive non ultima quella a Sanremo. Fino a oggi, liberi di raccontarsi in un libro con quella stessa umiltà e anima busker da sentirsi a tratti troppo punk per farlo. Ma consapevoli che quegli ostacoli – e visto il periodo è difficile credere siano stati pochi -, messi su carta, possano mostrare come la musica li ha salvati. E perché no, far sì che succeda ad altri.