L’angolo di Prometeo – a cura di Fede Torre. Nato come promessa della nullafacenza, col passare degli anni ha confermato quanto di bene si dicesse di lui sull’argomento.
Promoter di concerti, conduttore radiofonico, chiacchieratore, è tornato alla sua antica attività, scrivere, così risparmia anche di parlare.
Tennista del lunedì , cura una sua rubrica, “Ritratti”, su Ubitennis.
Gli piace definirsi come un collezionista di immagini.
Nell’ottobre 2019 pubblica “Multiplo di Tre” (ed. Le Fate), raccolta di scritti di una vita nata all’età di 3 anni e sui multipli del 3 sviluppatasi, lavorando alla propria versione 3.0.
“D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda” (Le Città Invisibili — I. Calvino)
Un palco enorme, backstage dove disquisire, mangiare e bere, tecnici in maniacale ossessivo via vai, accompagnatori col piglio di Chaplin ne Il grande dittatore, distese di giovani che vagano nell’area concerti in attesa del susseguirsi degli artisti su palco. Immagini dell’attesa nella cartella “retorica del concerto rock”. Un’altra cartella. Un borgo, uno slargo, un sentiero, una rocca su in cima. Lì è il concerto . Urgono volenterosi buoni uomini o asini da caricare come “ai tempi”, per dare una mano ai musicisti a portare i proprio strumenti lì su in cima. Qualche ragazzo volontario si trova e ci si avvia lungo il vecchio sentiero. Ragazze vestite in stile contadino con ciabatta francescana di ordinanza, camminano saltellando e sorridendo. Metropolitano scorbutico promoter, un animale nel posto sbagliato. La cena è in una locanda. Cibo tipico, abiti che si fanno man mano più attillati, una rocca da raggiungere e da ridiscendere strumenti a spalla. La postazione concerto è instabile, chi suona su pietra, chi su un po’ di piano, su terra tra sassi, uno sopra l’altro sotto. La gente mangia si diverte, qualcuno gioca a fare l’esploratore e sentirsi voce narrante di un documentario che non verrà trasmesso. Non vi è palco non vi sono barriere. Fine concerto, musicisti e pubblico, una persona sola. Il concerto non ufficiale continua, finche sole non comparirà a dire che adesso è ieri. A distanza di anni, qualcuno giura di aver visto le anime dei musicisti, strumenti in spalla, vagare lungo le stradine che circondano la Rocca (S.Felice)
Un terremoto sposta la gente. Il 21 agosto del 1962 uno di quelli forti rende pericolante un intero paese, costringendo gli abitanti ad andar via e a ricostruirne uno da zero sulla collina di fronte. Il paese vecchio segnerà a vita quel giorno e per sempre le 19.30. Tutto resta come allora. Qualche abitante resiste e resta, gli altri tutti nel paese nuovo, a pochi chilometri. Case nuove migliori e più confortevoli, esteticamente meno tipiche ma di certo integre. Apice vecchia, la Pompei del ‘900, la città fantasma. Dopo diversi anni si decide di farvi un mercatino domenicale , per ridar vita ad un paese, per dare adolescenza ai ricordi. Si chiamano dei musicisti itineranti, artisti da strada e alla fine il mercatino diventa una due giorni di musica,teatro, antiquariato, e cibo. I visionari si attraggono e quelli dell’Associazione a loro modo lo sono. Coadiuvati da un allora giovane “lavoratore di concerti” e manager di artisti, tirano su una festa che diventa un festival vero e proprio. Due palchi, uno piccolo ed uno grande per il concerto finale, perfomances musicali itineranti e in postazioni fisse. Musica in ogni angolo del borgo, tra una bottega artigiana ed una di prodotti tipici. Che il silenzio regni altrove. “Non tacciono i canti e si muove la danza”, l’alba non avrebbe visto morti viventi, ma gente di tutte le età in festa. Durò per un po’ di anni, poi sul borgo agirono interessi di restauri e necessità di riconversioni , la festa si perse, lasciando al borgo una nuova vita.
Non di grossi festival , di concerti di importanti artisti internazionali e nostrani, ma di un borgo come luogo di un’anima a cui ridare un senso, sono pieni i ricordi di un mestierante dell’arte. A loro, come ringraziamento, sono dedicate queste parole.