Los perros románticos è una poesia di Roberto Bolaño che comincia così, come un tamburo che batte nello stomaco: a quel tempo avevo venti anni / ed ero pazzo; per finire con questi versi, sono qui, dissi, insieme ai cani romantici / e qui intendo restare. Il cane romantico del Cile che si sentiva più poeta che scrittore, amava Jorge Luis Borges, come un maestro ispiratore. Borges era una specie di Omero con bastone dell’America Latina, un fantasma smarrito dentro e dietro la sua opera, una bocca parlante che narra la generazione di scrittori sudamericani e li influenza tutti, li tira fuori dal fango e dal silenzio, li aiuta a uscire allo scoperto, li travolge con la sacra ossessione della scrittura e – talvolta – li consacra. Quando legge il racconto L’invenzione di Morel dell’amico Adolfo Bioy Casares, Borges si accorge che è perfetto, e ogni scrittore argentino o latino che si rispetti dovrà fare i conti con la penna di Casares, solo perché era stato Borges a dirlo. Questa è la terra del realismo magico, oltre che di quello isterico. La Buenos Aires di Julio Cortázar che incontra quella di Borges. Dall’altro lato un Cile fantastico, lontano, disperato, che Bolaño canta a distanza, dall’esilio in Messico, in Spagna. Ma c’è un punto fisso in tutto questo che strozza in gola e scandisce il ritmo, la lingua spagnola.
Destrozado, pero vivo, sucio, mal vestido y lleno de amor. / En el camino de los perros, allí donde no quiere ir nadie. (Roberto Bolaño)
Fu Borges a scoprire la bellezza dentro la malattia del fantastico di Cortázar, ne curò racconti, lo incoraggiò. In un certo senso è un padrino della letteratura sudamericana da cui non si può prescindere. Eppure è così diverso da alcuni suoi figliocci, non è il cane romantico travolto dalla penna, è il pensatore, il critico, il metaforico, il sussurratore che non canta isterico, l’anima più profonda e biblica della festa. La domanda è, anche Jorge Luis Borges aveva un lato da cane romantico e detective selvaggio? In fondo se ha ispirato certe pagine non può essere totalmente estraneo a questa natura, anche lassù nell’empireo dell’Aleph.
È l’amore. Dovrò nascondermi o fuggire. / Crescono le mura delle sue carceri, come in un incubo atroce. / La bella maschera è cambiata, ma come sempre è l’unica. / A cosa mi serviranno i miei talismani: / l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione, / le gallerie della Biblioteca, le cose comuni, / le abitudini, la notte intemporale, il sapore del sonno? / Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
Ed eccolo, il Borges innamorato. Quello dei versi d’amore. Dove le lettere e le biblioteche non contano più. L’amico Casares racconterà di come Jorge perdesse spesso la testa per le donne, in modi del tutto inaspettati. “L’amicizia fra un uomo e una donna è sempre un poco erotica, anche se inconsciamente“, su questo aforisma si costruiranno anche le sue battaglie private. Sul finire della vita si narra che il maestro sia stato sedotto e circuito da María Kodama, scaltra donna che lo sposò, e che di lui ha detto “Bisognerebbe chiamarlo Borges di Buenos Aires, aggiungendo al suo nome quello della città, esattamente come facevano gli antichi greci con i loro filosofi: Pitagora di Samo, Talete di Mileto“. Ma non abbiamo nessuna prova per dire che Kodama fosse interessata a essere la madrina dell’eredità borgesiana, e in fondo che importanza poteva avere per un uomo che in punto di morte voleva solo morire, dimenticando anima e corpo.
Il Borges che si lascia andare, il Borges privato, il Borges latinoamericano, il Borges poeta, il Borges selvaggio che sussulta per un verso, il Borges vate di una generazione, il Borges copiato e riciclato da tutti, il Borges grande ispiratore o musa, il Borges contradditorio, terso, elegante, tragico e comico, è un grandioso enigma in cui l’intimo diventa universale, la parola è vangelo. Il vero grande cantore rock del grido di contestazione, Who the fuck is Mick Jagger?, come testimonia il loro incontro: – Maestro, ho letto tutta la sua opera, la ammiro. – Ma lei chi è? – Sono Mick Jagger. – Ah, uno dei Rolling Stones?
C’è chi narra che neanche sia esistito Borges, chi lo cercava in Casares e nei poeti di Buenos Aires, in un collettivo o in un alfabeto fenicio, nelle biblioteche bruciate e antiche, affollate di carta straccia, bruciature corrosive, parole perdute. Ma son leggende, come ne nascono sempre in questi casi. Perciò chiamiamolo con il suo vero nome: Jorge Luis Borges, essere umano di bestiale umanità.
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.