Quel suono dei Lali Puna, che ci culla ma non sconvolge più

Fotografie di Alessia Naccarato

Un tour dei Lali Puna è in sé già un evento da celebrare, al pari dell’uscita di uno dei loro dischi. Annunciato senza grandi proclami, Two Windows è atterrato nei negozi di dischi senza fare rumore più o meno due mesi fa, ben sette anni dopo Our Inventions (2010), quando ormai una fetta più che consistente dei fans della band aveva dato per conclusa l’esperienza del quartetto bavarese nell’ambito dell’indietronica. In realtà, all’uscita del disco ci si accorge rapidamente che l’esperienza si è effettivamente conclusa per il Notwist Markus Acher, insieme a quella del suo matrimonio con Valerie Trebeljahr, che infatti riunisce da sola i consueti Christian Heiß e Christoph Brandner. Sulla lunga, si spera che la dipendenza dai ritmi degli altri progetti di Acher e dalle paturnie della vita di coppia Acher-Trebeljar possa assicurare una maggiore frequenza di uscite e di apparizioni, ma nell’immediato, mi pare che il risultato riscontrato sia una certa difficoltà del residuo terzetto a destreggiarsi tra i suoni e riportare sul binario giusto questa band che porta con sé un nome di una certa importanza.

 

Il disco infatti, forse più negli ascolti successivi che in quelli immediati, mette a nudo una certa indecisione e le dodici tracce in cui si articola sembrano succedersi giustapponendosi scomposte e pescando a tentoni ora nel downtempo, ora nell’ambient, ora perfino nel trip-hop, piuttosto che ricercare la composizione di quella organica e ben definita trama sonora che aveva costituito la forza di Tricoder e Faking the Books, ribadendo che già Our Inventions aveva messo in luce una certa stanchezza, forse dovuta anche ad un esaurimento prevedibile del genere e ad un cambio di direzione più generale nell’esplorazione dell’elettronica “leggera”. Il tutto non per seppellire un disco che, si percepisce, nasconde un certo lavoro di ricerca nonché l’apertura a collaborazioni con personaggi di un certo livello, e che ritrova a tratti momenti di grande felicità che confortano il sorriso malinconico dei vecchi aficionados come il sottoscritto – la sinuosa Deep Dream, per esempio, o appunto Frame, in collaborazione con Dntel, la lisergica Bony Fish in tandem con Mary Lattymore -, ma piuttosto per introdurre un discorso analogo che riguarda anche la fruizione di un live che, perfetto nella sua esecuzione e generoso nel dedicarsi al pubblico anche oltre la scaletta esibita nelle precedenti uscite dal tour, con due encore e la riproposta di brani che la band dimostra palesemente di non aver provato da lungo tempo, tuttavia non stupisce.

 

Un po’ è quello che in generale ci si aspetta dalla presenza discreta del gruppo, dalla tenerezza delle luci vintage e del sorriso buono di Valerie sul palco, dai suoni che cullano piuttosto che coinvolgere, che rassicurano più che stravolgere, e che pure ci mandano a casa con la sensazione di aver partecipato a una cena ed essere andati via prima dell’arrivo della portata principale, o a un party di compleanno prima del taglio della torta. La scelta della scaletta sottolinea la sensazione di insicurezza percepita, presentando tra la ventina di pezzi eseguiti solo otto delle nuove tracce, per non sottrarre spazio a nessuno dei grandi classici del gruppo, su tutti Faking the Books, che personalmente mi è sembrato il momento più alto a livello di coinvolgimento emotivo.

Insomma, in due parole, potremmo dire: per questo giro ci accontentiamo, dietro la promessa che la prossima volta ci riportiate su quel meraviglioso pianeta dove ci avete ospitati nelle puntate precedenti. Diciamo, una sufficienza d’ufficio. Se è vero, come dice il testo di Head Up High, che siete stanchi e potreste dormire tutto il giorno, forse è meglio conservare il live per periodi in cui si è più svegli. Non aiuta l’umore, infine, la strategia di under-booking portata avanti dagli organizzatori, che cambiano last-minute la location del concerto dal capiente Hiroshima Mon Amour allo sPAZIO211 e rischiano di ripetere per la consistente affluenza il fenomeno già verificatosi sette anni fa a Torino in occasione del tour precedente della band, che aveva lasciato fuori un cospicuo numero di persone.

 

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