Scrivere un articolo su una manifestazione due settimane dopo il suo svolgimento è un po’ come presentarsi ad un matrimonio a notte inoltrata. Il vino è finito e le amiche della sposa se le sono già prese gli altri.
Ma sono comunque andato a fare un bagno d’afa a Venezia a quindici giorni di distanza dalla manifestazione contro le grandi navi. E ora vi spiego perché ne è valsa la pena.
Il 9 giugno la città del Carnevale (non Rio de Janeiro, quell’altra) è stata invasa da centinaia di persone ben decise ad attaccar briga con le navi da crociera che, senza scendere in tecnicismi, da anni stanno facendo il bordello nella laguna veneziana.
Non si tratta del rischio di uno Schettino-bis. Niente immagini apocalittiche di un’enorme imbarcazione che si schianta in piazza San Marco, sfasciando monumenti e traumatizzando i piccioni.
La minaccia arriva dal semplice passaggio delle navi, che, inquinando ognuna come 14mila automobili, insozzano l’aria di Venezia. Le sorellastre della Concordia sono infatti sottoposte a controlli opachi, spesso basati sulla sola analisi documentale, mentre il tenore di zolfo dei carburanti utilizzati rimane 3500 volte superiore a quello presente nel comune diesel delle autovetture.
Ma anche la laguna è in pericolo. Il bacino è stato adattato nel corso degli anni alle esigenze della portualità, rendendolo sempre più simile ad un normale braccio di mare. Le navi da crociera possono ora attraversare le bocche di porto come fossero caselli autostradali. Il traffico marittimo è aumentato esponenzialmente, erodendo le specificità dell’ecosistema lagunare e, con lo spostamento di enormi masse d’acqua, le fondamenta degli edifici.
Tanti buoni motivi per protestare, quindi. Lo si è fatto e con successo. La manifestazione è arrivata anche alle testate straniere (una e una-due) e al ben più autorevole Dagospia (qui). È stata una giornata colorata, allegra, originale, con una flotta di barchini lanciata sul porto veneziano per rompere le palle ad uno degli improbabili giganti del mare che sfilano su e giù per la laguna.
E in ammollo c’erano anche loro, Lucio e Marco. Li ho trovati per voi.
Lucio mi incontra, leggermente incazzato per il mio non leggero ritardo, sotto il ponte di Rialto. Ci tiene a precisare che L’Indiependente è un sito molto figo e che la categoria musica indie non vuol dire più nulla.
Dimostra una cinquantina d’anni. Scrive libri e per un po’ è stato editore. Ha una figlia in Olanda e questo è quasi tutto quello che so di lui. Non Veneziano di nascita ma di adozione, Lucio ripercorre le magagne della città. È difficile mettere in ordine l’enorme quantità di dati che fornisce.
Quello che colpisce di più è la vena pessimista che attraversa le sue considerazioni. L’ultimo libro che ha pubblicato, Il gondoliere cinese, in copertina mostra la foto della tipica imbarcazione veneziana di fronte ad una nave da crociera. E, sospettando il mio scarso intuito, mi fa notare come l’immagine ne voglia parafrasare una ben più celebre (se anche voi siete lenti di comprendonio, la soluzione è questa).
Quando parla della città si rabbuia. Racconta di una Venezia sempre più simile a un’attrazione di Gardaland, con frotte di turisti perse tra case svuotate (ho dato un’occhiata ai prezzi degli affitti. Sì, Venezia non è un paese per ceti medi) o in un negozio di souvenir made in China (no, non solo gli articoli in vetrina sono cinesi, anche i proprietari).
Restano decine di volenterosi che ancora ci mettono del loro per tenere in vita la città, per preservarla da un futuro da maschera grottesca. “Ma non ci filano granché. Siamo sempre le stesse cento, duecento persone. E la maggior parte della popolazione non ci segue molto, anzi. Dobbiamo continuare a cercare l’attenzione dei media stranieri, perché è il loro peso che può darci la mano più grossa.”
E poi c’è Marco, che studia a Bologna e alla manifestazione ha partecipato con il suo collettivo politico. Mentre lo guardiamo mangiare una pasta impossibile al pan grattato e funghi ci racconta di una giornata bellissima. Forse anche perché è stata la sua prima volta in barca a Venezia.
Snocciola informazioni meno complete di quelle di Lucio (l’erosione delle fondamenta degli edifici sono diventata case già mezze crollate), ma la sostanza rimane la stessa. Entrambi i racconti sottolineano un punto: anche sotto il profilo economico, accogliere le grandi navi in laguna è una fregatura. L’indotto va a vantaggio di pochi privati e i costi ambientali e di salute per la popolazione sono un gentile omaggio di Costa Crociere alla collettività (come si può leggere qui).
“Però dovevi vedere che figata. Una manifestazione preparata da dio che è andata un sacco bene. È arrivata gente da tutta Italia e siamo finiti nei quotidiani più grossi a livello nazionale. Gran cosa” mi dice Marco mentre continua a riempirsi la bocca di quella roba che temo lo uccida da un momento all’altro.
Lo lascio alle prese con una difficile digestione e qualche giorno dopo ritorno a Venezia. Prima di prendere la via di casa mi fermo nel solito bacaro. Dopo un consistente numero di bicchieri di vino sento il proprietario, impegnato in una conversazione con un cliente, esclamare: “speriamo di mettergliela nel culo, un giorno di questi, a quelle grandi crociere del casso”.
Pare che a Venezia non siano solo le grandi navi a muoversi.