C’è stato un periodo nella mia vita in cui una certa monomania verso Alberto Moravia mi spingeva a guardare il mondo nei termini della sua poetica stringente, in cui il mondo si divideva in bianco o nero. Il mezzo tono mi è sempre parso l’aberrazione stessa di cui si nutriva quella borghesia annoiata e incapace di prendere decisioni sulla propria vita. Una stasi capace di generare Carla e Michele Ardengo de Gli indifferenti o il Dino de La noia che, per molte ragioni, trovavo giusto disprezzare, per stabilire dei limiti da non oltrepassare. Un ideale campanello d’allarme, impostato da Moravia, che si sarebbe dovuto attivare quando il momento storico lo necessitava, se non per contrastare la noia, per evitare la discesa nel conformismo. Quando leggevo Moravia così assiduamente il berlusconismo – l’unica dinastia politica che verosimilmente conoscerà la mia generazione – viveva quel principio di definitivo declino inaugurato dagli scatti di Porto Rotondo pubblicati da El Paìs. Nel 2009, e non parlo certo per senso nostalgico, il paradigma moraviano era ancora vivo e utilizzabile. C’era un nemico chiaro, ancora, contro cui in molti ritenevano necessario lottare. Il berlusconismo aveva le sembianze di un’opprimente ombra in grado di oscurare non solo una classe politica ma un intero paese, e così succedeva a una parte di noi. Per ovvie ragioni temporali l’attivismo a cui mi riferisco aveva già abbandonato da tempo i girotondi e i sit-in e, soprattutto, il suo carattere di lotta culturale, naufragata davanti all’evidenza che un paese che l’aveva democraticamente eletto più volte non potesse raccogliere, se non in minoranza, le tracce di un cambiamento. Ci furono altri tentativi, quelli del Popolo Viola, ora una pagina di supporto a teorie del complotto, e il No Berlusconi Day 1 e 2, e poi tutta una serie di movimenti fluidi con vita breve. A distanza di qualche anno ancora non riesco a vedere nell’uscita di scena del grande nemico una vittoria oggettivamente politica, o che possa essere depositaria di qualche merito. Si trattò più di un naturale deperimento, fisico e morale, delle nostre forze, finché qualcuno non ha staccato la spina quando era già troppo tardi. Quelle pagine nuove che dovevano aprirsi si son presto trasformate in monotone ripetizioni e gli Ardengo, così vicini, così lontani, un tempo, sono diventati gli inconsapevoli vincitori da cui eravamo stati messi in guardia. Il terribile lascito del berlusconismo non fu il debito pubblico, il Porcellum o la Bossi-Fini, ma il contagio che lo seguì. Fu averlo messo da parte troppo rapidamente, più che averlo tenuto in vita, e renderlo materiale già da cinema a non consentire la formazione degli anticorpi necessari a emarginarlo e, così, da un lato, la passività degli Ardengo si è trasformata in una vena di disillusione e resa, mentre l’insincero idealismo di Marcello Clerici ha pontificato su nuove masse d’odio, paurosamente costanti nell’individuare nuovi nemici. Ciò che Moravia e nemmeno noi, potevamo prevedere fu che nel 2009 l’uscita delle fotografie non preannunciava soltanto la caduta di Berlusconi, ma testimoniava anche la nascita di una nuova forza imprevedibile. La voce dei social network, si trasformava rapidamente da gioco nella mani di teenager timidi nell’approcciarsi a un grande collettore di malcontento e polemiche ormai non più arginabili, nuovo spettro di un paese che, nonostante Moravia, non è stato in grado di preparare gli anticorpi adeguati a fronteggiare tutto questo, tanto da arrivare in un’ossessionante lotta contro se stesso che mette in dubbio ogni cosa.
Questo nostro discorso ha a che fare con la campagna FreeVax, motivo per cui usiamo anticorpi, ma non solo. Per anticorpi intendiamo quella difesa immunitaria che uno stato democratico dovrebbe far nascere in chi lo vive, non tanto per un’imposizione idealistica, ma per non arrivare a permettere la trasmissione di certe idee antidemocratiche che sfruttano a proprio favore il paradosso del diritto di espressione, di dare la libertà anche a ciò che gli è per natura contrario. Inesattezza storica non consentita, ad esempio, in Germania, su cui invece si basa buona parte dei programmi nostrani di ultradestra. Dopotutto siamo quelli delle foto celebrative a Predappio e di Nina Moric baluardo nella difesa della razza italica. Ma quelli son fascisti, si sa, non faranno mai nulla. Funziona così in Italia, non iniziano mai davvero a essere troppo radicati, troppo forti, per poi non riuscire a contrastarli più. Frange che si accrescono, prendono consenso e se non è probabilmente tutto vero, è perché quei limiti, di cui sopra, si riattivano solo per un momento. Ma l’odio è una cellula dormiente, che non appena comincia a riprodursi, piano piano, si mangia tutto il corpo che lo ospita. Mi perdonerà Moravia per questa frase, ascrivibile all’atteggiamento borghese contro cui si schierava. Quella tendenza a valutare, a distanza, ma non riuscire a essere abbastanza efficaci con le armi che si possiedono. Complesso di Cassandra che accomuna certi scritti di Moravia agli autori in grado di descrivere sentimenti validi, se non anticipatori, a epoche di distanza. Ci mancano i mezzi, perché sapete già tutto. Sapete così tanto che picchiate il medico che ha vaccinato i vostri figli, che potete pure diventare sindaci o vicepresidenti della Camera e rinnovare improvvisamente la geografia della Terra. Parlare di genetica e di filosofia, sostenervi e darvi ragione a vicenda finché uno è allineato. Passare da vittime a carnefici e viceversa con incredibile rapidità, accoltellandovi da soli pur di dimostrare la ferocia del vostro nemico. E noi lì, a guardare questi piccoli imprenditori milanesi partire dai proprio orticelli.
Il movimento, o la psicorivolta, in atto in questi mesi dei FreeVax è la dimostrazione diretta di come una psicosi collettiva possa aggregarsi e trasformarsi in un’onda, non a caso, con i propri gesti e simboli, riunita attorno improbabili venditori di sciroppi per la gola. Ma mostrano proprio quella malsana abitudine di far avvicinare alla politica le persone dalla porta sbagliata, quella che prima ne parla solo male ma poi si accorge che stava inseguendo solo la propria ombra. Il problema è proprio quello che dicevamo, del sistema di osmosi attraverso cui un virus prolifera quando le difese si abbassano per un istante. Hanno vinto gli Arbengo proprio per questo, perché nessun altro è stato in grado di ricostruire dove c’era il deserto e dove tutti, per il fatto di poter costruire un castello con sabbia e secchiello, hanno pensato di essere ingegneri. Il confronto democratico si basa su uno scambio, e la possibilità che uno dei due interlocutori, date le premesse e le competenze dell’altro, possa avere torto. Nel 1998 un moderno Doctor Faustus, falsifica alcune prove scientifiche per affermare che i vaccini, considerato uno fra i più grandi traguardi raggiunti dall’umanità, fosse una delle principali cause dell’autismo. Radiato dall’albo dopo essere stato scoperto e smentito, diventa il focolare per una rivalutazione totale del metodo di sopravvivenza di cui ci serviamo da generazioni. Per cui non è giusto imporre la stessa prevenzione per tutti, come a dire io voglio gli immigrati fuori dall’Italia, ma se i miei figli si ammalano perché prendono il morbillo è sicuramente colpa loro, non del fatto che non li ho vaccinati, mostrando tonnellate di articoli alle presidi scaricati chissà dove. Il dubbio è sempre ragionevole, ma l’ostinazione nel non voler cambiare idea e costruire un muro su questa pretesa è qualcosa di diverso e più preoccupante. Ce lo hanno reso chiaro il video in cui Anders Breivik illustrava il suo manifesto poche ora prima di compiere la strage di Oslo e Utøya, o i tanti adolescenti, così svuotati da armarsi di fucile nelle highschool americane. Anticorpi, o fondamenta solide, che evitino di dover temere chi ti sta di fianco, almeno per proteggersi dentro e poter affrontare il fuori con più calma. Non ci resta che ridere, in fondo, di tutto questo, finché a forza di dire al lupo non ci basterà il fiato.
Per Moravia non c’è poi più niente da fare, e con lui tutta la meravigliosa generazione del dopoguerra. Pasolini, Calvino Morante, Fellini, Antonioni e poi ancora Visconti, De Sica, Gadda e Pavese, immaginatori di un nuovo paese che non sarebbe mai diventato.