foto di Federica Rinaldi
Fu sostanzialmente una coincidenza, una pura coincidenza temporale. Da un lato un muro – Il Muro – crollava, dall’altro si innalzava forte il suono di una nuova musica, la Techno.
In realtà, già negli anni precedenti questo genere di importazione statunitense (arrivava dritto da Detroit) aveva fatto breccia nelle due Berlino, seppur in maniera differente: se da un lato nella parte Ovest stavano nascendo i primi club, perlopiù scantinati bui e garages con arredamento minimale, dall’altro nella Berlino Est proliferava il commercio clandestino di dischi, conseguenza del rigido regime di controllo a cui ragazzi e ragazze erano costretti.
Ed ecco che, improvvisamente, la gente si ritrovò insieme, accomunata da una passione smodata per i violenti beat elettronici, da un’irrefrenabile voglia di festeggiare un ritrovarsi che era stato negato per decenni. La musica Techno divenne la colonna sonora della riunificazione della città, per molteplici ragioni:
Questa la tesi di fondo che sposa “Der Klang der Familie”, di Felix Denk e Sven von Thünel. Più che di un libro, si può parlare di un “oral history”, ossia di una raccolta di informazioni ottenute tramite conversazioni e interviste con alcuni fra i personaggi più caratterizzanti della scena Techno berlinese di quegli anni.
I due autori – redattori rispettivamente allo Zitty e al De:Bug – accorpano in quasi trecento pagine (fortunatamente tradotte dal tedesco all’inglese nel 2014, in coincidenza con i 25 anni dalla caduta del Muro) materiale che racconta lo sviluppo di una cultura che si snoda dall’inizio degli anni ’80 quasi fino alla fine del secolo, attraverso le parole di circa settanta tra djs, organizzatori di party, musicisti e proprietari di locali. E se da un lato vengono ripercorsi gli eventi cardine che ne hanno segnato le tappe fondamentali, come la prima Love Parade, o come l’imprescindibile connessione con la scena musicale di Detroit, dall’altro c’è spazio fra le righe per dettagli meno noti ma non per questo meno gustosi, come le rivalità e le gelosie fra i diversi gestori dei club.
La particolare forma del dialogo, dell’intervista continua, con cui sono costruiti i diversi capitoli del libro è di un’efficacia sorprendente e catapulta il lettore indietro nel tempo, quasi a permettergli di assistere in prima persona alla nascita di storici locali come l’E-Werk, l’Ufo o il Tresor (quest’ultimo ancora attualissimo nella scena berlinese). Le foto in bianco e nero, scattate nei club dell’epoca e messe a corredo nella versione inglese del libro non fanno che esaltare ulteriormente la fantasia; e per un’esperienza di immersione completa ecco la perfetta, omonima, colonna sonora:
Indubbiamente la Techno berlinese si è dimostrata essere anche un ottimo affare, nel tempo: dalle ceneri di quegli scantinati sono sorti i grandi templi della notte, come il Berghain, il Suicide Circus o il Watergate. E se molti sono stati i cambiamenti, con le sottoculture cittadine di trent’anni fa sostituite da frotte inferocite di clubbers e rigide ordinanze comunali che hanno imposto orari e regolamenti, una riduzione del “livello di magia” è stato un inevitabile prezzo da pagare. Ma quel che è certo è che ancora oggi, nella Berlino di trent’anni dopo, esistono angoli nascosti che conservano immutato quel fascino decadente così come, drizzando le orecchie, è facile avvertire il beat vibrante del “suono della famiglia” che accompagna ogni tuo passo, durante una visita al mercato delle pulci di a Mauer Park, o fa da sfondo al tramonto che ti stai godendo, sdraiato sulla chiatta di legno al Club der Visionäre.
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