Biondo: [Contando gli uomini di Sentenza] Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… Sei, il numero perfetto!
Sentenza: Non è tre il numero perfetto?
Biondo: Sì, ma io ho sei colpi qui dentro…
– Dialogo tratto da “Il Buono, il Brutto e il Cattivo”
Dopo “Bowling in Columbine” e “Cinema in Colorado” ora ci tocca apprendere anche di un altro episodio, “School in Connecticut”. Stavolta a pagare il prezzo della liberalizzazione delle armi sono state 26 persone, tra le quali 20 bambini di età compresa tra i cinque e i dieci anni. Un ragazzo di vent’anni ha sparato a tutti in una scuola elementare uccidendo anche sua madre, con le sue armi. E’ entrato come un attore di qualche film trash anni ’80, giubbotto anti-proiettile, una Glock in una mano e una Sig Sauer, nell’altra. Varie fonti riferiscono anche di un fucile calibro 223 ritrovato nei paraggi. Alla fine del suo intervento infanticida ha deciso di farla finita pure lui e si è tolto la vita.
Diciamocelo, c’è qualcosa che non va nell’immaginario collettivo americano. Non è normale che accada così di frequente che qualcuno entri con le armi in mano in un luogo pubblico e faccia fuoco. Si è già detto di tutto sull’argomento, a livello legislativo comprare le armi è troppo facile e l’unica cosa che sa fare Obama ultimamente è piangere. In momenti di crisi non prende posizione seria sulla cosa, sta lì a dire quello che poteva dire chiunque: «Sono troppe le tragedie simili che accadono ovunque nel Paese, dobbiamo riuscire a evitare che accadano. Abbiamo perso bambini innocenti e insegnanti che dedicavano la loro vita a costruire il futuro di questi bambini. Questo fine settimana io e Michelle facciamo quello che ogni genitore sta facendo, stare il più possibile vicini ai nostri figli e ricordare loro quanto li amiamo».
Il suo è un messaggio di empatia con la famiglia. Una cosa paternalistica che ha radici molto forti nella tradizione comunicativa americana, dalle conversazioni radiofoniche attorno al fuoco di Roosvelt fino ai comunicati in cui ci si rivolge all’esercito come “figli di questo paese”.
La lobby delle armi è troppo forte, scrivono tutti i giornali che se la prendono con la National Rifle Association. E fanno bene: come dimenticare il tweet quasi di sfida che l’associazione postò all’alba del giorno dopo della strage del cinema, quella di Batman per intenderci.
Per scusarsi di questo gesto poco carino dissero che ancora non erano a conoscenza della strage avvenuta. Si, certo. Una cosa buona è che non gli ha creduto nessuno e altri gesti di tale cattivo gusto da parte della stessa associazione sono ben documentati da Michael Moore nel suo già citato “Bowling in Columbine”. La NRA inoltre si occupa spesso di finanziare varie campagne elettorali e di stoppare leggi che presuppongono il controllo delle armi, contro la loro liberalizzazione.
Lo ribadisco, c’è qualcosa che non va nell’immaginario collettivo di una parte dell’America. E’ presente una certa cultura legata a John Wayne, Gregory Peck e il repubblicano Clint Eastwood che dal grande schermo sparano proiettili sui quali si fa propaganda. Non è un caso che l’Ispettore Callaghan abbia tenuto un discorso in favore di Mitt Romney con una foto di se stesso con il cappello da cowboy e armi in mano: un po’ come a dire “uccidiamoli tutti”.
Si cerca ora di dare la colpa agli squilibri del ragazzino-assalitore, una persona solitaria, che andava a scuola con una valigetta 24 ore, che sedeva vicino alla porta pronto a scappare via al suono della campanella, che rispondeva a monosillabi. Ma la colpa non è nella eventuale devianza del ragazzino, ma della possibilità di questo di accedere a tante armi. In altri paesi avrebbe potuto prendere una lama e una strage di questa portata non sarebbe certo avvenuta. In America, invece, le pistole e i fucili si trovano come le mele dal fruttivendolo, le vendono a peso e le trovi del tipo che vuoi.
P.S.: «Siamo in un cul-de-sac e per venirne fuori serve un sac-de-cul» (il Comandante dei genieri nel film “Il giorno in più”)