Per anni ci hanno raccontato che serviva un ambiente storico giusto per descrivere le situazioni che stavamo vivendo, fossero di decadenza o di splendore, ma poi il processo si è bloccato perché di cambiamenti, nel nostro vecchio continente, sembrano non essercene più. Siamo finiti a parlarci di come scrivere, e perché farlo, quando la questione centrale era sul chi doveva essere interpellato. Occhi chiusi e orecchie tappate hanno fatto il resto, mentre il sogno di una collettivizzazione delle letture ha presto generato i suoi figli meno profondi, frasi spezzate da social network, il linguaggio digitale e più diretto delle piattaforme video, dove branchi di ragazzini fanno di persone normali i propri idoli. Siamo al tramonto, e le continue riflessioni sulle direzioni da prendere per coinvolgere altro non sono che l’effettivo sprofondamento di un’abitudine che non è, probabilmente, mai stata nostra. Non ce la facciamo più da soli, basterebbe dirsi questo per chiamare alle armi il residuo delle persone davanti alla resa incondizionata di un mercato così saturo che non si stupisce più alla caduta di quell’idea di indipendenza, quella a metà fra self made e anni ’70, di cui Pitchfork-Condé Nast, o la nostra Rcs-Mondadori, sono solo gli ultimi esempi.
Resistenza, ad esempio, è una di quelle parole tornate di moda. Ma resistere implica liberare, e ancora non sappiamo nemmeno se siamo schiavi o meno di qualcosa. Resistere alle condizioni che si hanno davanti o, soltanto, in nome di un’idea. Già, le idee, sprofondate nella corsa a qualche nuovo armamento che ha sempre meno a che fare con il collettivo, o con il pensiero di poter contare per qualcuno, e lascia tutti irrimediabilmente più soli. Il messaggio, in realtà, è passato per troppe mani perché mantenesse il suo vero contenuto. Ci siamo ritrovati, dall’apertura delle frontiere di spazio che la carta manteneva anche a livello qualitativo, a valutare la scrittura come una opportunità imperdibile quando, invece, lo è stato per pochissime persone, e ora dobbiamo fare i conti con una attenzione che si è fatta stagnante. Non serve, perciò, combattersi e distruggersi su questioni intrinseche al valore che possiede una parola ben scritta rispetto a una lista divertente, sono battaglie kamikaze sulla Pearl Harbor di un passatempo e che non fanno bene a nessuno. Il fatto più rilevante è la perdita che il tempo passato a dedicarsi a questo scontro ha sulle persone. Al fatto che ci ritroviamo nel mezzo di battaglie sociali importanti e che prendiamo di petto piuttosto che di testa, nascondendoci dentro le case di un’opinione secolare piuttosto che renderci conto che i tempi cambiano anche se non ci crediamo, ed è questa la sconfitta più grande. Tutto questo risentimento ci ha reso sterili e autoindulgenti, ci ha portato a vedere il marcio fuori quando probabilmente è quello che avevamo dentro a distruggerci, solo per il fatto che scrivere ci avrebbe reso migliori di qualcuno, o in punto di osservazione privilegiato, salvandoci. Ma, questo, non succede mai e i te l’avevo detto non aiutano proprio nessuno.
I passi che la scrittura ha lasciato fare ad altri li stiamo già pagando. Non riuscire a descrivere per qualcuno la situazione che vive o, soltanto, diventare una fra le tante possibili testimonianze ha fatto balzare in avanti questioni di appendice. Non è meglio preservare il proprio giro, pur di non fallire, lasciando fuori tutto il resto. Le generazioni non cambiano mai, sono le parole che si spendono su di essa a farlo. La scrittura è una cosa inopportuna, forse perché è ancora impossibile da decifrarne l’utilità, anche se la malafede risplende chiarissima. Se ne era accorto già Calvino nelle sue lezioni americane quando conveniva sul fatto che non ci si possono dare degli obiettivi, perché la scrittura è smisurata e, per questo, fragile e preziosa. Ma gli esempi si sprecherebbero, proprio perché non si è mai trattato di grandi opportunità. Non esistono guide che possano spingerti a scrivere, come le scuole dove si insegna sono barzellette per addetti ai lavori. Sono le persone a riempire le pagine di qualcun altro con i propri pensieri, e dare un modo per far pensare è, probabilmente, l’unica possibilità per farlo bene.
La scrittura è inopportuna, perché deve dire quello che una persona non vuole accettare di pensare. Fa cambiare opinione, ma solo una volta che smette di voler far pensare come lo decide qualcuno crea davvero qualcosa. È in questo paradosso che i campi si dilatano, anche per le troppe Bastiglie abbandonate a qualcuno ancora rinchiuso. Si tratta di andare contro, e non di resistere, perché prima bisogna liberarsi della certezza di essere migliori.