La sala professori: lingue frammentate allo specchio

Ambientato in una metropoli tedesca odierna (nonostante la città non venga mai nominata il film è girato ad Amburgo) La sala professori di İlker Çatak è un film teso e al contempo rarefatto, che gioca sul non detto e sul mistero, addentrandosi tramite un semplice espediente all’interno di dinamiche psicologiche e sociali. La trama è composta essenzialmente da un unico fatto: all’interno di una scuola avvengono ripetuti furti ed i professori si trovano a gestire la situazione tanto tra di loro quanto con i giovani studenti.

La protagonista è Carla Nowak (interpretata da Leonie Benesch, per gli amanti delle serie la Principessa Cecilia di The Crown) un’appassionata insegnante di matematica che ha a che fare con una classe multiculturale e nel pieno dei tumulti dell’adolescenza. Carla si mostra un’insegnante disponibile e moderna, cerca di tenere unita la classe con dei piccoli rituali e adotta metodi fortemente democratici per incrementare la partecipazione degli studenti. La professoressa, al suo primo quadrimestre all’interno di una scuola che la preside presenta come “a tolleranza zero”, nel corso delle pause nella sala comune percepisce una forte tensione all’interno del corpo insegnanti, il quale denuncia l’ennesimo furto, sottolineando una situazione che sembra permanere da tempo e di cui la protagonista è solo vagamente a conoscenza.

Dopo l’esposizione di diverse tesi, proposte e analisi i sospetti ricadano proprio sulla classe della professoressa Nowak, con gli insegnanti che si rendono protagonisti di un vero e proprio abuso di potere, sottoponendo gli alunni ad una perquisizione collettiva ed accusando Ali, uno studente di origini straniere, reo di avere troppo denaro nel suo portafoglio.

In seguito alla convocazione dei genitori di Ali, che affermano di aver dato loro i soldi al proprio figlio, compito di Carla diventerà anche quello di gestire una classe spaccata tra chi crede all’innocenza del ragazzo e chi invece inizia ad avere un atteggiamento ostile nei confronti dello stesso. Il clima nella scuola si fa sempre più soffocante e tanto le scelte registiche quanto di sceneggiatura aprono ad una vera e propria spirale paranoica, sotterfugi, dialoghi sospesi e piccole azioni quotidiane diventano allo stesso modo attività sospette, incrementando una tensione tra personaggi che diventa sempre più insopportabile.

A spezzare questa tensione, arriverà “la mossa” di Carla: creare un’esca in modo da attirare il ladro e smascherarlo.

Il film qui potrebbe incanalarsi verso una facile risoluzione, ma Çatak ci lascia invece all’interno dell’incertezza, del dubbio, del non detto, utilizzando come base per la pellicola i vissuti rispetto al fatto e non il fatto stesso. Per fare un piccolo parallelo “l’escamotage” è simile a quello utilizzato da Starnone/Luchetti in Confidenza rispetto a quella che è state la scelta del non detto rispetto al segreto, con il fulcro incentrato sulle dinamiche tra personaggi.

Il piano della professoressa Nowak viene dunque attuato, ma non senza conseguenze. Qualcosa “accade” ed il piano, anzi che diventare una soluzione, mette invece in moto una nuova serie di sospetti ed incertezze ancora più esasperate.

Gli stessi studenti tramite il giornalino della scuola inizieranno ad indagare sulla questione sottolineando nei loro articoli il clima di sospetto e gli abusi subiti da parte degli insegnanti anche in relazione al tema del razzismo. Quest’accusa farà trasalire in particolar modo un collega di Carla, il professor Liebenwerda, che in quanto di discendenza africana (interpretato da Michael Klammer attore tirolese di origini nigeriane) si dice disgustato da attacchi di questo tipo.

Questo momento è solo uno dei tanti che lascia emergere la questione dell’identità personale delle seconde e terze generazioni all’interno di un Paese che ha gestito nel corso del tempo copiosi flussi migratori con politiche di integrazione che solo in parte hanno visto un successo. Tornando indietro con l’orologio ed analizzando alcuni passaggi del film, notiamo subito come la composizione della classe sia variegata e come al più bravo Oskar si contrappongano i più indisciplinati Tom e Lukas ribaltando quell’idea stereotipata (purtroppo ancora sbandierata anche da noi persino in luoghi istituzionali) degli studenti “zavorra”.

La stessa Carla è di origine polacche, così come il suo collega Dudek. Tra i due avviene un brevissimo scambio che con poche frasi è in grado di trasmettere grande intensità, ma allo stesso tempo un forte senso di inadeguatezza ed ambiguità.

Il professor Dudek dopo due piccole battute cerca di smorzare la tensione e di creare un collegamento più forte e intimo con la professoressa Nowak dicendole una frase in polacco, ma la reazione di Carla è tutt’altro che benevola, pregando il collega di non parlarle in quella lingua all’interno della scuola.

La risposta di Dudek è quasi immediata: “Perché? Ti vergogni?”.

Segue un breve (ma lunghissimo) silenzio dal quale Carla esce rispondendo che parlare una lingua che gli altri non possono capire non è corretto nei confronti dei loro colleghi.

Un episodio simile accade anche in precedenza con i genitori di Ali che per un breve momento parlano tra di loro nella propria lingua madre, venendo ripresi dalla stessa Carla.

La lingua all’interno del film si fa dunque fenomeno intimo e culturale attraverso una soppressione della lingua del sé e della formazione del concetto profondo rispetto alla necessità della lingua della comunicazione. La lingua funge in un certo senso da elemento figurativo per quello che è lo strappo interiore di chi si ritrova in una terra con il corpo e in più terre con la propria unità, portando sul piatto il tema del nascondimento e quello della costruzione della propria interezza.

Nel mentre gli eventi del film precipitano trascinando Carla in una lotta che mai avrebbe pensato di dover combattere e raggiungono il proprio il picco in un urlo collettivo che racchiude dentro di sé l’intera comunità, perché non c’è frattura nel grido, l’urlo è pura voce.

E proprio al momento della conclusione quando proprio tutti sembrano sconfitti ecco che sotto la forma del gioco viene in qualche modo assegnato un trono.

Anche nel momento dello sprofondare nel buio se si crea il legame arriva il colore, arriva la luce.

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