La Route du Rock (collection été 25)

Si naufraga facilmente nel mare magnum dei festival estivi, tanto da scegliere di passare il weekend di Ferragosto in una bellissima località di mare, per celebrare i 25 anni di un festival che non ha mai tradito le aspettative dei musicofili europei più esigenti. L’estate, il mare, il festival… chi potrebbe mai resistere a questo connubbio? Ma cosa succede se l’estate c’é, solo che il sole non é poi cosi’ presente (anzi a dirla tutta piove!), il mare é bellissimo ma l’acqua non é proprio alla temperatura giusta per intenderci. Fortuna che il posto (la splendida città francese di Saint Malo, in Bretagna) e il festival (La Route du Rock) non ha assolutamente deluso tutte le altre aspettative da musicofilo in vacanza. Vediamo com’é andata.

13 Agosto

E’ la serata di anteprima del festival e si svolge al chiuso, alla Nouvelle Vague, il locale che ospita l’edizione invernale della Route du Rock, e vede come protagonisti due concertoni di quelli che fanno davvero venire l’acquolina in bocca:

Sun Kil Moon: Mi chiedo ancora per quanto Mark Kozelek riuscirà a sfuggire al personaggio che si é creato, me lo chiedo la seconda volta (in pochi mesi) che lo vedo dal vivo, mentre interpreta i suoi brani nel solito modo coinvolto ed intenso, sussurando, urlando e talvolta anche cambiando quelle parole cosi’ belle e struggenti che costituiscono i testi di Benji, album dal quale anche stasera attingerà a piene mani. Arrangiamenti tesi e rock, degni del suo nuovo disco Universal Themes, soliti siparietti tra il compagnone e lo stronzo con il pubblico, quando ruba la macchina fotografica alla fotografa e quando vuole essere incitato come fosse un giocatore sotto rete. Sembra quasi ci tenga a stemperare la pesantezza delle sue canzoni, la serietà dei temi che trattano e lo fa cosi’ bene, cosi naturalmente che risulta simpatico. Ma il vero brivido non arriverà con Carissa o Micheline, bensi con una dedica all’amico Nick Cave, col ricordo del figlio morto quest’estate in un terribile e l’esecuzione da pelle d’oca di The Weeping Song, che più di tanti suoi pezzi mette in mostra stasera la sua umanità. Un’ora di live, chiuso da un’improvvisazione fiume sulle note di This is my first day I’m indian and I work at the gas station ai limiti del reading. Voto:7/10

The Notwist (performing Neon Golden): La perfezione ha diversi volti e Neon Golden (che compie 13 anni quest’anno) riesce a vestirne davvero tanti. La riesecuzione integrale di un album, solitamente, é una sfida persa in partenza, roba per grandi icone del rock, o per meteore in decadenza. La band tedesca non appartiene a nessuna di queste due categorie, nonostante abbia influenzato gran parte dell’indie rock moderno in senso ampio, ma soprattutto i Notwist negli ultimi 13 anni di carriera hanno cambiato tante cose, si sono spinti sempre di più su strutture elettroniche, hanno esplorato nuove strade e dal vivo, nel riproporre integralmente il loro capolavoro, sono riusciti a farle confluire tutte, vestendo i vecchi pezzi di abiti nuovi, senza troppo togliere alla melodia e alla familiarità di quei brani stessi. Il live dei Notwist é divertente, commovente, ammirabile perché unisce l’indie rock alla sperimentazione elettronica pura, i ritornelloni urlati a squarciagola con l’introspezione fredda delle macchine e lo fa cosi’ bene da non potersi sottrarre a un numero di encore imprecisato, nei quali la band é costretta a riproporre anche parte della produzione recente. Voto: 10/10


14 Agosto

Il festival vero e proprio si svolge al Fort de Saint Père, a qualche km dalla città di Saint Malo, egregiamente collegato con un servizio continuo di navette che da mattina a notte fonda fanno avanti e indietro dalla città. Il primo giorno inizia col fango, dopo una pioggia di 24 ore, che sembrava di essemi vestito per muovere i miei primi passi sulla luna e invece mi sono ritrovato a muovere la testa e a ballare. Fortuna che i lavori effettuati quest’anno al terreno davanti allo stage principale hanno permesso di evitare l’effetto Glastonbury. Tuttavia gli stivali contro il fango sembrano essere un must nell’outfit del pubblico di Saint Malo.

Thurston Moore: quanto fascino ha il vecchio zio Thurston? Sempre tanto. Si presenta in maglioncino, nella sua elevata statura, ma é quando veste la sua Jazzmaster (quella coi lividi) che lo riconosci. Ed é da allora in poi che le tue orecchie ascolteranno quei pezzi che solo lui puo’ suonare cosi’, con quel minimalismo rumoroso ed elegante che tutti si sono messi in testa di poter suonare, ma che alla fine nessuno ci riesce perché tanto di Thurston Moore ce n’é uno solo e tutti gli altri sono solo wannabe. Voto: 7,5/10

Fuzz: Quante facce ha Ty Segall? Probabilmente una sola: quella del rocker virtuoso e pacioccone, che te lo puoi trovare dietro a una chitarra o dietro a una batteria e saprai già che quello che tirerà fuori spaccherà tutto. C’é una ragione semplice se i Fuzz si chiamano cosi’, perché suonano con le distorsioni a palla e fanno un casino infernale e sono una macchina da guerra, sparano a vista d’occhio queste distorsioni grasse vestiti con improbabili acconciature e maschere disegnate in faccia. Il delirio del rock’n’roll. Voto: 7/10

Timber Timbre: Il loro nuovo album Hot Dreams é una delle cose che negli ultimi mesi ho più consumato, quelle atmosfere fumose, in bianco e nero, la voce da vecchio crooner. Quell’aria dark-wave/post-punk senza esserlo fino in fondo e cadere nello scontato. Dal vivo invece le cose funzionano un po’ diversamente e la band americana calca un po’ la mano con le distorsioni, coprendo la linfa folk dei pezzi nuovi con chitarre taglienti. Il risultato é interessante, ma sicuramente assai meno ammaliante di quello ottenuto su disco. Voto: 6,5/10

Ratatat: pochi gruppi hanno la caratteristica, oggigiorno, di essere originali e riconoscibili, di avere una cifra stilistica che immediatamente riporta a loro. E’ il caso della band americana che, col suo mix di chitarre psichedeliche ed elettronica, ha fatto scuola. Sebbene gli ultimi album in studio del duo non abbiano fatto gridare al miracolo, l’esperienza live é coinvolgente e positiva e ci si trova trasportati in un mare di colori acidi e psichedelici a seguire con la testa le linee di chitarra melodiche e cantabili più che i ritmi incessanti delle elettroniche. Un live colorato e d’impatto, grazie anche alla presenza dei visual che accompagnano egregiamente l’esecuzione dei brani. Un concerto allegro e trascinante. Voto:8/10

Rone: La chiusura della prima giornata del festival tocca a Rone: il genietto parigino dell’elettronica che con il suo Creatures ha saputo guadagnare quest’anno ulteriore attenzione e stima da parte degli addetti ai lavori. Il suo show lo vede solo dietro alle macchine e al suo fedele theremin, sopraelevato rispetto al palco, quasi in posizione ieratica. La sua musica, marziale ed epica, scade talvolta nel pacchiano, ma tutto sommato regala una performance vincente nel suo essere essenzialmente piuttosto monotona. Voto: 7/10


15 Agosto

Il secondo giorno é quello segnato dall’annullamento , da parte di Bjork, della sua tournée e quindi anche della sua partecipazione al festival. La scaletta della giornata infatti sembrava privilegiare l’artista islandese, mettendo in secondo piano gli altri artisti selezionati. Il bel tempo ritrovato invece fa privilegiare la visita della città di Saint Malo e delle sue splendide spiagge a scapito dei concerti non troppo interessanti.

The Soft Moon : avevo avuto modo di vederli; qualche mese fa, in una sala parigina, piccola e particolarmente adatta alla loro musica; che con l’oscurità e il fumo risaltava la componente psicotica delle loro composizioni. All’aria aperta, su un palco cosi grande non é la stessa cosa. Intendiamoci, i Soft Moon sono potentissimi e non sbagliano mai un colpo, ma l’atmosfera che si ricrea su uno stage cosi grande non si addice ai brani claustrofobici e martellanti del loro nuovo album Deeper, Voto : 7,5/10

The Foals : pescati ad una settimana dal festival come gruppo di rimpiazzo di Bjork, la band scozzese fa sempre la sua porca figura e il loro rock’n’roll dinamico conquista il pubblico pieno di delusi dall’annullamento da parte dell’artista islandese. Si saltella e ci si sbatte al suono delle chitarre svelte e dei ritmi tirati dei Foals e il loro set di circa un’ora e mezza vola via in men che non si dica, in un clima di forte godibilità. Voto : 7/10

Daniel Avery  : in ogni festival che si rispetti c’é un tempo per pogare e uno per ballare e quando cala la notte ed il freddo sale, l’unico modo di riscaldarsi  é mettere su qualcosa che ti sveglia, Daniel Avery lo ha capito e regala un set elettronico ad alto contenuto di ritmo, profondo ed elegante proprio come la sua musica sa essere. Voto: 7,5/10


16 Agosto

L’espressione Last but not least per questa giornata vale talmente tanto da poter diventare Last but best. Il giorno di chiusura della Route du Rock é infatti quello che, sulla carta ma non solo, ha saputo regalare il maggior numero di soddisfazioni in termini musicali.

Father John Misty: assistere a un suo live durante un uggioso pomeriggio bretone puo’ davvero ripristinare il sole, mentre sei li a guardarlo esibirsi tra autocompiacenza, ironia e soprattutto tanto talento. Perché I love you, Honeybear é un disco di canzoni bellissime, che il nostro Josh Tillman si sente cucite addosso e lo capisci da come le interpreta, da come si muove mentre le canta, anche quando impazzito te lo ritrovi a fare stage diving. Un concerto bellissimo, dolce e amaro al tempo stesso, degno di un grande performer. Voto : 9/10

Viet Cong: una giornata storta capita a tutti ; cosi ho giustificato il fatto che la loro esibizione (che mi era tanto piaciuta qualche mese fa), alla Route du Rock non mi ha davvero detto nulla, poco empatica, molto distaccata: i Viet Cong si sono ripresi solo sulla coda finale dell’immensa Death, lo hanno fatto dopo un’esibizione sullo stage piccolo del festival bretone, piuttosto soporifera. Peccato. Voto : 6/10

Savages: Mi ricordavo piuttosto bene quanto fossero fiche dal vivo, quanta carica e quanta energia da vendere avessero, eppure non me lo ricordavo abbastanza, perché le Savages hanno fatto un live da urlo, alternando i brani del loro primo album Silence Yourself a quelli in anteprima della loro nuova fatica. Il post punk senza tenere la testa abbassata e i ciuffi ondeggianti, senza essere noioso ma con un’attitudine molto selvaggia, tra urla e crowd surfing della cantante e il visivo tripudio ormonale del pubblico. Voto : 9/10

Ride : Faccio mea culpa, da grande appassionato di shoegaze non ho mai troppo capito i Ride. Apprezzo i loro dischi, ma non ne comprendo fino in fondo la genialità. Pero’ insomma all’appello delle band di shoegaze che hanno cambiato il rock alternative e che si sono reformate mancano solo loro  ed ho l’occasione di gustarmi il loro live dalla prima fila. Il concerto é bellissimo, emozionante e pieno di classiconi eseguiti in modo ineccepibile e nonostante l’effetto reunion di vecchie glorie, la loro performance risulta più che convincente, le chitarre fischiano e fanno rumore come si deve e le loro melodie jangle pop ne escono pulite e si fanno cantare. Un tripudio da farte dei fan più sfegatati. Un concerto da ricordare   Voto : 8/10

Dan Deacon: é l’archetipo del nerd americano in sovrappeso e con le sue macchine fa un casino assurdo. Accompagnato da una batteria spara a tutto volume i suoi brani come fossero sonore di videogame o cartoni animati, si agita, salta, url anel microfono facendosi distorcere la voce, sfotte il pubblico e tenta di organizzare improbabili coreografie che nessuno riesce mai ad assecondare fino in fondo. Ed é in tutto questo delirio che ti trascina e ti abbraccia.    Voto : 7/10

The JuanMacLean : Solo amore per i Juan MacLean, perché alle tre di notte sono in grado di farti sentire come su una spiaggia assolata, con la loro space disco. Cosi eighties eppure cosi moderni, con la fantastica Nancy Whang (LCD Soundsystem) a catturare a pieno la scena. Un live elettronico; raffinato; divertente e dancereccio e il palco piccolo del festival si trasforma in un’enorme pista da ballo, mancano solo le palle disco anni ottanta. Voto :8,5

Jungle: su disco non mi hanno fatto impazzire, troppo soul per i miei gusti, troppo costruiti, ho pensato. Alla prova live sono stato piacevolmente smentito, perche i Jungle hanno chiuso la 25 esima edizione della Route du Rock estiva nel migliore dei modi possibili, con il loro suono caldo, umano e quasi tropicale. Sono in tanti sul palco, cantano ma soprattutto suonano e dai loro movimenti e le loro voci quasi si intravede la loro anima. Voto:7/10

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