Sabato 2 novembre, Anthony Cartwright sarà ospite della nuova edizione del FILL, il Festival della Letteratura Italiana a Londra, di cui vi abbiamo già parlato su queste frequenze. Quale occasione migliore, allora, per fare una chiacchierata con l’autore, nelle librerie italiane con la sua ultima fatica, Il taglio, edita come tutti gli altri romanzi dello scrittore britannico da 66thand2nd? Idealmente seduti al tavolino di un pub delle Black Country, fronteggiati da due pinte di Guinness, abbiamo parlato di Brexit, di calcio e di letture sorprendenti, da riscoprire per meglio capire questi strani tempi che la Gran Bretagna sta vivendo.
Anthony, cominciamo dal delineare il contesto della Gran Bretagna odierna. Qui in Italia, infatti, arrivano poche, sparse e contraddittorie notizie sulla Brexit, prevalentemente solo quando c’è un nuovo rinvio all’accordo con l’UE. Qual è la situazione reale nel Paese? Dopo tre anni, gli inglesi sono ancora per l’uscita dall’Europa, o adesso preferirebbero rimanerci?
La risposta sintetica è che il Paese (o i Paesi? Perché anche il modo in cui noi britannici ci riferiamo a noi stessi è diventato sempre più problematico) è ancora molto diviso. Una ripetizione odierna del voto del 2016 darebbe molto probabilmente come esito una piccola maggioranza a coloro che vogliono restare in UE. Questo cosa dimostra? Non ne sono sicuro. Quel che è certo è che è inutile continuare a ripetere come il referendum stesso, il risultato e le sue ripercussioni siano stati un terribile errore. È un fatto acclarato e ripeterlo non farà di certo scomparire il problema: ricacciare il genio nella bottiglia sembra un compito impossibile. Bisogna invece considerare che le divisioni sulla Brexit, e il modo in cui attraversano trasversalmente le varie classi sociali e le divisioni politiche tradizionali, sono particolarmente acute in Inghilterra e Galles, ma meno nell’Irlanda del Nord e in Scozia che, per motivi diversi, senza dubbio ora voterebbero in maniera ancora più schiacciante per rimanere nella UE. È una dimostrazione di quanto siano multiple e profonde le nostre divisioni in Gran Bretagna. Quello che dobbiamo capire è che questa non è solo una crisi a proposito della nostra appartenenza all’Unione Europea, ma anche riguardante la stessa unitarietà del Regno Unito.
Eppure, cambiano i primi ministri, ma la situazione rimane caotica. A questo punto, vedi una via d’uscita o il Regno Unito è destinato ad affrontare questo problema per i decenni a venire?
Che questa situazione – o almeno la sua eredità – siano destinati a durare per una generazione o anche di più sembra inevitabile in questo momento. Sicuramente un migliore Primo Ministro, un migliore partito politico al potere, avrebbe potuto far fronte alla situazione in modo molto più conciliante, specialmente dopo il caos iniziale del referendum. Il partito conservatore è sempre stato una minaccia per il popolo britannico, anche se spaccia i suoi miti per il contrario. Johnson lo è a un livello inferiore, anche se sicuramente rappresenta la più grande minaccia al tessuto sociale inglese dai tempi della Thatcher. E questo, ovviamente, rivela un’altra delle nostre divisioni. Ci sono molte persone, molte delle quali sono della mia stessa regione e classe d’appartenenza, che venerano la Thatcher e vedono Boris Johnson come una specie di salvatore. Io ritengo che abbiano torto, ma questo non sposta il loro pensiero. Il punto su cui mi sembra doveroso tornare è che questo è un Paese di divisioni profonde, asimmetriche e spesso imprevedibili. Fino a quando non inizieremo a cercare di risolverle, prevarrà il caos.
Queste divisioni sono sottolineate bene nel tuo ultimo libro, Il taglio, in cui i due protagonisti personificano l’enorme divario creatosi tra Londra ed il resto del Paese. Come si è arrivati a tutto questo?
È vero, con Cairo e Grace [protagonisti de Il taglio] cerco di dare volto a due Inghilterre molto diverse. Cairo è un ex pugile, lavoratore itinerante e rappresenta al meglio le Black Country da cui proviene; Grace, invece, è una documentarista ed è espressione della classe media liberale e metropolitana tipica del nord di Londra. Queste identità sembrano aver guadagnato una sorta di status esemplificativo all’interno della nostra società, per ragioni molto diverse. Tramite il goffo tentativo di Cairo e Grace di capirsi, volevo esplorare alcune delle nostre divisioni, che sembrano ogni giorno allargarsi e approfondirsi. Ciò è esemplificato dal rapporto tra Londra e il resto dell’Inghilterra, in particolare l’Inghilterra lontana dalle città più grandi (e bisogna qui notare che si tratta di una faccenda solamente inglese: una delle tante cose che alimentano il nazionalismo scozzese, la crisi del confine irlandese e conseguentemente la fragilità del Regno Unito nella sua unità). La divisione economica e regionale è stata esacerbata da quarant’anni di deindustrializzazione e deregolamentazione finanziaria. L’eredità del thatcherismo (e l’eredità degli anni Blair-Brown, che non hanno mai veramente affrontato il problema) è una società composta da vincitori e perdenti, da intere regioni che hanno “vinto” o “perso”. I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri più poveri. Ma va ancora peggio. Perché l’Inghilterra è tornata ad essere un Paese in cui è più che mai vivo il concetto di “povero”, in cui la povertà è una effettiva realtà. È una conseguenza non solo del capitalismo globale, ma anche dei nostri errori. Inoltre, è interessante notare come “Londra” sia diventata una sorta di epitome per il dominio economico e culturale totale di uno specifico gruppo di persone che vivono principalmente nella capitale. Ma l’attuale e reale città di Londra ha al suo interno alcune delle peggiori divisioni, soprattutto economiche: i disordini di Londra del 2011, il disastro della Grenfell Tower del 2017, la crescita esponenziale di crimini con coltelli e omicidi tra adolescenti sono tutte manifestazioni di questo disuguaglianza terribile.
Cairo Jukes de Il taglio è un ex pugile, così come Liam Corwen di Iron Towns era un (quasi) ex calciatore. Perché lo sport ha un ruolo così centrale nei tuoi libri?
Suppongo che lo sport sia così importante nei miei libri perché è così importante per me. “Scrivi di ciò che sai” è un mantra famoso per gli scrittori, e lo sport ha sempre avuto un ruolo centrale della mia vita. Il calcio, secondo me, è manifestazione della cultura industriale della classe operaia, ed è in questa forma che è presente nei miei romanzi. Potrei dire che, per i miei personaggi (Liam e gli altri in Iron Towns; Robert Catesby e le persone che lo circondano in Heartland) il calcio e la cultura che lo circonda rappresentano la più chiara, e forse migliore, espressione di loro stessi. Un mio amico mi ha fatto notare che invece la posizione di Cairo è più blanda e irredimibile, perché è un pugile e non un calciatore. È solo, sul ring e fuori da esso, letteralmente e metaforicamente esposto, vulnerabile… Il pallone da calcio offre, nei miei romanzi, qualche possibilità di redenzione, mentre non sono sicuro che la boxe possa fare altrettanto. Ma forse, d’altra parte, si potrebbe anche sostenere che la boxe è più onesta: una metafora molto più sincera di tanta esperienza della classe operaia.
Lo sport e la sua evoluzione, quindi, riflettono un’immagine corretta della realtà?
Ho appena iniziato a leggere il nuovo libro di David Goldblatt, The Age of Football, e sicuramente saprò risponderti meglio non appena l’avrò finito. Di certo, quello che ho capito finora è quanto la finanza globale, la geo-politica, ma anche la semplice politica nazionale e locale siano invischiate con il calcio. È evidente che lo sport moderno – e specialmente il calcio – si è evoluto ampliando i divari economici, come avvenuto nel resto della società. C’è una sorta di adorazione dell’élite che trovo profondamente preoccupante, ma alla quale partecipo anche io ogni volta che guardo il calcio di alto livello. Ci ho riflettuto molto quando ho scritto la storia di Liam Corwen in Iron Towns. Per anni Liam si fa tatuare sul corpo i volti ed i gesti dei grandi giocatori del passato, come se fosse a loro che deve rendere conto. La sua redenzione arriva invece quando si rende conto che sono le persone del pubblico, la folla, i veri eroi. Ormai, però, tutto lo sport inglese sembra sempre di più un enorme esercizio di propaganda, esemplificato dalle Olimpiadi del 2012. Tutto organizzato per ottenere profitti e partecipazione di massa. Così, mentre l’élite ha prosperato, le radici storiche in difficoltà. Un esempio recente è il crollo del Bury Football Club [storico club inglese che militava nelle divisioni professionistiche da 125 anni e che qualche mese fa è fallito, con conseguente esclusione da tutti i campionati, ndr.]. Quindi, sì: lo sport contemporaneo rappresenta forse lo specchio di ciò che sta accadendo in altri luoghi della nostra società, ed è un riflesso piuttosto scoraggiante. Ma dall’altro lato il manager della Nazionale inglese, Gareth Southgate, e i suoi giovani giocatori, stanno offrendo maggiore prova di leadership morale rispetto ai politici che eleggiamo.
Insieme a Gian Luca Favetto avete scritto un libro sulla tragedia dell’Heysel. Secondo te, il calcio ha effettivamente imparato dai propri errori?
Sicuramente il calcio inglese ha imparato diverse lezioni da quell’era oscura che sono stati gli anni ’80, in cui è ambientato Giorno Perduto. La rinascita del calcio inglese negli anni ’90 è stata guidata da un sincero desiderio di salvare il gioco dall’orrore che aveva raggiunto il suo nadir nel disastro di Hillsborough nel 1989. Giorno Perduto, ambientato nel 1985, rappresenta una specie di capitolo precedente in quella catastrofe che furono il calcio e la società inglese negli anni ’80. Non abbiamo più ripetuto gli errori di quegli anni. Ma gli errori successivi, quelli degli anni ’90 e 2000, sono più semplici da identificare e al contempo più difficili da risolvere. Che il calcio sia diventato un “prodotto”, un mero veicolo per vendere altri “prodotti”, è abbastanza chiaro. Ciononostante, anche in questo processo, regala gioia ed emozioni a milioni di persone. Viviamo in una società in cui tutto è in vendita, quindi il fatto che anche il calcio si sia venduto e continui a vendersi non dovrebbe quindi stupire. Io stesso sono ambivalente, perché lo seguo avidamente anche se mi piace sempre meno. E forse mi piace meno perché riflette la società che siamo diventati. Forse, per cambiare noi per primi e poi il calcio, abbiamo bisogno di leader e idee di quelle che abbiamo adesso.
Un’ultima domanda. La Brexit è stata ovviamente l’argomento cardine per molti autori inglesi, ma con risultati altalenanti. C’è qualche autore che, a tuo avviso, nelle sue opere ha ben descritto questo periodo e questa società?
La Brexit è stata per forza di cose l’argomento principale con cui il romanzo si è dovuto confrontare negli ultimi tre anni. Io stesso non so se sentirmi in colpa per aver aggiunto altre parole sull’argomento, o se essere felice per aver contribuito in piccola parte alla riflessione che tenta di dare un senso a come siamo arrivati alla situazione in cui ci troviamo. Il taglio si ispira alla tradizione del realismo sociale, e molti altri romanzi hanno compiuto operazioni simili. Penso a Middle England di Jonathan Coe, uno scrittore che ammiro e che, almeno geograficamente, è vicino a Il taglio. Ho iniziato a chiedermi se l’approccio migliore potesse invece essere un po’ più indiretto. Un romanzo che ho letto di recente e che ho davvero ammirato, ad esempio, è stato All Among the Barley di Melissa Harrison. Ambientato in un villaggio del Suffolk negli anni ’30, parla della resistenza e della crudeltà del fascismo, e in molti passaggi sembra una specie di riflessione sulla situazione presente. Inoltre, credo che ci siano molti romanzi scritti prima della Brexit che potremmo leggere con occhi diversi sulla base del presente, come Divided Kingdom e Dreams of Leaving di Rupert Thompson. In tal senso, suppongo che anche Shakespeare abbia scritto un’intera serie di drammi adatti alla Brexit, come Re Lear e Macbeth. Insomma, forse non dobbiamo essere troppo settoriali nelle nostre letture sull’argomento. In fin dei conti, un po’ di fantasia e immaginazione farebbero bene alla situazione attuale.