La Repubblica dei coriandoli

È come un carnevale di paese la nostra repubblica, con le maschere e i carri che sfilano. In cui tutti gli scherzi sono concessi perché domani è un altro giorno, e tutti saranno più seri una volta rimesso il completo e la valigetta. Pulcinella di ritorno alla fabbrica dopo essersi presi la libertà di una rivincita agli Arlecchini che torneranno a essere padroni per i trecentosessantatré giorni che rimangono. In mezzo a lanciarsi arance uno contro l’altro, mentre nei palazzi la gente più inserita ci guarda dall’alto al basso. Poi ci sono quelli che la maschera non se la tolgono mai, se non per farci rendere conto che è tutto uno scherzo, che non volevano intendere quello che è passato alla stampa. Un po’ come Fabio Tortosa, carnefice dietro a uno schermo e dentro a un casco, agnellino quando si tratta di essere travolti dall’opinione pubblica che, magari, solo ora con la condanna per torture per i fatti della Diaz si è resa conto che era tutto vero. Sospeso dal servizio, magra consolazione per chi, comunque, quelle botte se le è già prese, che poi non cambierà il pensiero dei tanti che se la raccontano come lui. Dicono che sia la notte il regno delle trasformazioni, quando i padri di famiglia si trasformano lupi mannari sulle vie buie piene di ragazzine, i ragazzi bene in ronde punitive stile Arancia Meccanica e sbucano le teste rasate che si mettono a festeggiare Hitler a Varese per poi trovarsi in chiesa la domenica a predicare l’uguaglianza. È di giorno che succedono le cose peggiori, ed è proprio perché c’è il sole che non credi possano davvero succedere. Ma succedono e non sono mai davvero buone notizie.

Lo sapeva Josephine quando, saltando sul tavolo della conferenza della Bce, ha preferito lanciare dei coriandoli al posto delle bombe, arrivando diretta al punto che voleva, più o meno coscientemente, mostrare. Anche i potenti hanno paura e non sono così intoccabili come crediamo tutti, e la faccia impaurita di Draghi che alza le mani in segno di resa è un’immagine che difficilmente si può dimenticare. Ed è più efficace di una bomba, perché dietro a quei corpi impettiti, quei dati sul debito e sulle crisi ci sono, tutto sommato, solo degli uomini, fragili come tutti. Ma poi ci fanno concentrare sul perizoma che indossava Josephine, piuttosto che sulla faccia della paura, dopotutto è sempre carnevale mica Halloween. Ed è assurdo pensare che a protestare contro la Bce sia una ragazza tedesca, o che la prima condanna più grande degli anni 10 sia stata fatta dal Papa sul genocidio in Armenia, su cui si è sempre e solo taciuto in nome del politically correct, dopotutto non erano mica ebrei. Tragicomico perché non viene fatto dalle sfere terrene, e un atto di propaganda (perché non fa poi così bene alle pubbliche relazioni avere sul groppone la Shoah, quindi meglio dirigere l’attenzione su altri lidi maomettiani) diventa politico, perché riesce a imbarazzare il nostro governo che, pure, dovrebbe essere autonomo. Perché, poi, nel gioco carnevalesco da una risoluzione , che l’Italia ha già firmato insieme ad altri 20 stati, ti puoi sempre smarcare.

Non riusciamo proprio a togliercelo di dosso quella segreta ammirazione che proviamo per i cattivi, e accettare che i demoni diventino santi solo a parole. Così, ben presto, da cattivi delle cronache sono diventati eroi alla tv e al cinema, perché i film di Tullio Giordana fanno troppo male, ed è meglio un 1992 che rischia di confondere in Mani Pulite i buoni con i delinquenti, in cui se ti puoi scopare Miriam Leone (ma per farlo devi corrompere o scendere a patti) alla fine è cosa buona e giusta applicarti per riuscirci. Mentre attorno i mali, quelli veri, vengono sconfitti nel silenzio generale. Come le storie che ci raccontavano da piccoli prima di riaddormentarci, solo che da alcune rivisitazioni personali, per il bene della sceneggiatura, non ti risvegli mai soprattutto se l’opinione pubblica è un Deserto dei Tartari metropolitano. Allora tutto coincide e tutto si mescola come a un grande carnevale. Il buono diventa cattivo, il cattivo buono e la prostituta santa. L’unico problema è che quando il costume ce lo togliamo noi, sotto, siamo sempre nudi mentre il il ballo mascherato della celebrità va avanti senza di noi.

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