Più che una sera di primavera quasi una sera d’estate allo sPAZIO211, dove arriviamo trovando il dehors estivo ad attenderci. Sembra ieri e allo stesso tempo passato un secolo dall’ultima volta in cui questo giardino ci ha ospitato durante il Todays Festival. Fa un certo effetto indossare una giacca di jeans il 20 aprile quando fino a pochi giorni prima cappotto, sciarpa e cappello erano ancora d’ordinanza a Torino. Primavera non bussa, lei entra sicura, ogni volta questo periodo dell’anno ci coglie di sorpresa risvegliando i sensi e allontanandoci gradualmente dal piumone e da Netflix.
La colonna sonora perfetta per questa notte che profuma di libertà e glicini è quella del cantautore romano Marco Zitelli, in arte Wrongonyou. Lo capiamo dalle prime note emesse dalla sua chitarra e da quel sorriso da gigante buono che lo contraddistingue. Il pubblico è radunato sotto il palco, qualche cellulare per fermare il tempo che scorre, ma soprattutto la curiosità di scoprire la musica di un artista autentico e originale. Dopo essere stato negli USA per presentare il suo album Rebirth, Wrongonyou è tornato in Italia per un tour che attraversa lo stivale da nord a sud e da est a ovest.
La scaletta accontenta tutti, chi vuole emozionarsi e chiudere gli occhi, chi non riesce a stare fermo e ballare a tempo di musica e anche chi ama lasciarsi sorprendere. La dimensione di Wrongonyou è fatta dei sentieri alberati di I Don’t Want To Get Down, degli specchi d’acqua scintillanti di Green River, dei ritmi di Killer, della poesia di Tree e di Son Of Winter e dell’acustica magia di Sweet Marianne, eseguita chitarra e voce tra luci, ombre e sguardi che dicono eloquentemente “Ma chi sei? Un alieno sceso in terra?”.
Un giorno Marco Zitelli è stato contattato da Alessandro Gassmann che gli ha chiesto non solo di realizzare la colonna sonora del suo film Il premio, ma anche di interpretare la parte di suo figlio. La nascita di questa collaborazione si trasforma in uno sketch divertente che Wrongonyou utilizza per coinvolgerci e farci dire in coro “bella”.
L’atmosfera è diventata intima come a una festa tra amici che si conoscono da sempre e che si rivedono ad anni di distanza. Le ballate folk si mescolano a un certo languore soul e improvvisamente ci dimentichiamo la provenienza geografica di Marco e capiamo il motivo per cui molti lo abbiano definito il Bon Iver italiano. Ci salutiamo sulle note di The Lake con il cuore che impazza nel petto e le fibre del corpo finalmente rilassate. Mentre il palco di legno scricchiola ancora sotto il peso degli strumenti che stanno per essere portati via ci guardiamo indietro pensando, “Non è poi così male essere felici”. Grazie alla qualità del buon cantautorato italiano che per fortuna esiste e resiste.