Dal 4 Marzo ognuno di noi si sarà trovato a cercare di decifrare quello che sarebbe successo ma tutto – o quasi – è stato imprevedibile. Sono state giornate ricche di colpi di scena, tra contratti e improvvise riabilitazioni politiche, una propaganda mai esauritasi, intanto nel paese cresceva una polarizzazione fortissima tra chi era annichilito da queste giornate e chi provava invece entusiasmo. Ultimo colpo di scena il braccio di ferro tra il governo del cambiamento e il Quirinale, che ha portato alla fase finale di uno scontro che si prospetta in crescita, e che vedrà utilizzare da una parte la retorica del complotto europeo e di un Presidente della Repubblica servo di finanza e banche, e dall’altro la difesa del Colle, che – per ora – non si accompagna a proposte alternative da offrire al paese.
Eppure sarebbe bello fare uno sforzo per immaginare l’Italia e capirla, da qui a dieci, venti, trent’anni. Siamo un paese giovane, con quel toscano come lingua madre che si è diffuso con difficoltà in tutto il territorio – cosa che ci potrebbe far riflettere sulla fragilità del concetto di stato nazione e sovranismo, ma non è questo il momento in cui affrontare il tema. L’Italia va ancora immaginata, oltre quella che è stata l’infinita propaganda che ci siamo ritrovati addosso nel corso degli ultimi mesi. Siamo sopravvissuti a una campagna elettorale pessima, probabilmente ce ne aspetterà una peggiore, che punterà ad acuire ancora di più il sentimento di risentimento degli italiani – dalla casta alle élite il passo è breve (e qualcuno è riuscito a divorare i discorsi di qualcun altro).
Salvini è ben consapevole di quanto sia efficace la propaganda nel gioco alla House of Cards che ha portato avanti in questi mesi: userà tutta la demagogia possibile per creare uno stato permanente di attacco, al ritmo dello slogan “non siamo un popolo sovrano”. Quelli che penseranno sia la strada più semplice, lo seguiranno. Ma il panico, le ansie e i gridi “rivoluzionari” che ci aspetteranno da qui in poi, ci dovrebbero far riflettere di quanto ne possa valere la pena lasciarsi trascinare con tutta la nostra imperfetta dose di umanità in questo gioco delle parti. C’è un paese diviso, e così piace.
Poi c’è l’Europa. È vero, non è perfetta, non ha un’anima politica per esempio – così come l’Italia di cui parliamo oggi quando invochiamo il “prima gli italiani” non aveva ancora un’anima o un sentimento di comunità immaginata dopo l’unificazione. È vero, nessun movimento europeo è riuscito a creare un collante tra italiani, francesi, spagnoli, tedeschi, così come nell’epoca rinascimentale nel territorio italiano resistevano divisioni tra signorie, regni, ducati. Ma vale la pena di credere che il cambiamento di un progetto possa passare per la retorica dei risentimenti che verrà usata nel prossimo futuro?
Allora tocca immaginarlo anche a noi questo paese per come lo vorremmo, ci tocca immaginare una ventata di solidarietà, e rivolgere un pensiero alle prossime generazioni – anche quando non ne saremo legati direttamente. Mentre il paese si divide ancora di più, sarà bello ricordare che esistono maggioranze e minoranze, e che ogni logica maggioritaria non deve mai dimenticare il sentimento di solitudine del resto del paese, i diritti degli altri, gli esclusi. Vi sarà capitato nel corso di questi mesi di ritrovarvi a un tavolo a parlare di politica e sperimentare come il livello di aggressività sia cresciuto – forse, crescerà ancora. È l’effetto di una propaganda che non è mai finita, che avvilisce, sfianca, urla e mobilita, che viaggia anche sui social con un rabbioso anelito di appiattimento. Del resto lo stratega di Donald Trump, quel Bannon di cui si è parlato tanto in questi mesi in relazione a Cambridge Analytica, in questi giorni è in Italia a ridersela sotto i baffi.
Comunque prosegua questa danza che ci è toccata in sorte, è il momento di capire che paese vogliamo, e varrà allora a nulla la domanda “sei con l’euro o contro l’euro”, perché si ritorcerà contro il muro di risposte che diranno di aver sempre voluto solo più sovranità. Le domande da farsi sono già altre, senza quelle sarà inutile aver rimandato l’appuntamento con quel governo del cambiamento che si dice dalla parte del popolo ma auspica la flat tax, il vincolo di mandato e i mini-bot. Forse a forza di immaginare questo paese, impareremo a prendercene cura, a non abbandonarlo alla mercé della demagogia. E fa niente se sarà difficile trovare le risposte, già per troppo tempo abbiamo rinunciato, avviliti e forse un po’ arresi. Per cominciare, sarebbe già abbastanza invitare a smettere di credere alla propaganda che vorrebbe uno stato permanente da guerra di tutti contro tutti. Pensateci bene: ne vale la pena?