I Chinese Man, gruppo, collettivo ed etichetta discografica, sono fra le realtà più importanti e stimolanti del panorama francese, capaci di scardinare le regole dell’hip hop e della musica elettronica contemporanea. Ne abbiamo parlato insieme a Dj Zé Mateo, in attesa di poterveli raccontare nel loro nuovo live set il 14 luglio al Flowers Festival di Torino.
D: I Chinese Man non sono soltanto un gruppo musicale ma, anche, un collettivo di artisti e un’etichetta discografica ed è inevitabile pensare che tutto questo non rientri nella vostra musica, sotto forma di influenze, che spaziano dall’hip hop alla musica elettronica. Quanto sono importanti per voi queste contaminazioni?
Zé: Viaggiare molto, all’inizio del nostro progetto, ci ha permesso di incontrare tantissimi artisti di talento con cui continuiamo a collaborare ancora oggi. Lavorare insieme a loro ci ha permesso di arricchire il nostro modo di comporre, questo perché la base della nostra musica è principalmente strutturata attraverso campionamenti che, com’è naturale, ne sono stati molto influenzati. È importante viaggiare ma lo è anche prendersi del tempo per stare da soli, a casa nostra, e sviluppare il nostro progetto.
Quando è cominciato il viaggio dei Chinese Man? Da quali generi e artisti è stato influenzato principalmente?
Nel 2004, insieme a High Ku e Sly, abbiamo iniziato a fare musica insieme, in una piccola casa in Ardèche. Dopo un po’ di tempo ci è venuta voglia di realizzare un album tutto nostro e, così, abbiamo deciso di fondare la nostra etichetta collettiva per farlo nascere nel modo che volevamo. Anno dopo anno abbiamo continuato a produrre e a far uscire degli album, insieme a persone capaci e che continuano a sostenere e sviluppare insieme a noi il progetto (Fred e Annabelle, Julien Loïs…).
La musica hip hop degli anni 90 ha influenzato molto il nostro modo di comporre. Ciascuno di noi ha la propria sfera di influenze maggiori che, in generale, è molto ampia. Nella composizione le influenze ruotano attorno all’artista con cui stiamo collaborando in quel momento. Che sia musica del mondo o musica elettronica..
Il vostro ultimo Ep, Sho-Bro, è uscito questa primavera. Ci sono, come sempre nella vostra musica, numerose suggestioni. Il vostro approccio alla composizione è sempre uguale o si modifica in base alla vostra idea ? Da quale necessità nasce questo ultimo lavoro?
Tutti e tre utilizziamo, per comporre, delle macchine che, col passare del tempo, si evolvono sempre un po’ di più ogni volta che ci troviamo insieme a provare. Il nostro è un metodo democratico e ogni decisione deve avere il consenso di tutti per essere approvata, essendo alla fine una produzione del gruppo. Per Sho-Bro avevamo raccolto una serie di campionamenti che ci hanno fatto venire voglia di produrre un album profondamente incentrato sull’hip hop. Abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con i ragazzi di Hieroglyphics [uno dei principali collettivi di riferimento dell’underground americano, NdR], e la nascita dell’Ep è venuta del tutto naturale. Abbiamo chiesto ad alcuni produttori francesi e a Dj Numark di partecipare alla rilettura di alcuni pezzi di Groove Session Vol. 3. Abbiamo così raccolto i remix e due pezzi nostri, realizzati in un momento chiave, per farli uscire prima di riprendere la strada e i concerti e di avere meno tempo per dedicarci alla produzione.
Da tanti anni suonate insieme e siete arrivati praticamente dappertutto. Molte cose sono cambiate, non solo la musica ma, anche, il pubblico che viene ai concerti. Avvertite questo profondo cambiamento? Quanto influenza la vostra musica?
La dimensione live è, sin dagli esordi dei Chinese Man, una dimensione fondamentale. Abbiamo cominciato esibendoci come dj set ma, dopo qualche anno, ci siamo diretti verso una formula live che ci permettesse di esprimere al meglio il nostro universo, con l’utilizzo dei video, di nuovi musicisti e di diversi MC.. I cambiamenti sono stati soprattutto di ordine tecnico, ma conserviamo la stessa energia dei primi tempi per condividere la nostra musica.
L’utilizzo delle lingue straniere può essere interpretato come una specie di rivendicazione o, meglio, come un modo per esprimere la natura multiculturale della Francia e del mondo. È un tentativo di creare un linguaggio quasi universale, posto il fatto che la musica lo è già, capace di raggiungere chiunque?
Oggi, attraverso internet e la tecnologia, abbiamo accesso a praticamente tutte le forme di linguaggio del mondo ma non potremo mai averne una padronanza completa. In questo senso prendiamo una frase in spagnolo o in inglese, che viene da un film o da una guida audio del 1950. È un modo, per noi, di inserire delle piccole testimonianze del passato e del mondo nella nostra musica ma è anche uno dei modi che ci sembra musicalmente più adeguato per raggiungere l’obiettivo che ci poniamo quando andiamo a comporre.
Quanto è importante l’uso dei vinili nella vostra musica e nei vostri concerti?
Il vinile è la nostra principale forma d’ispirazione. Ci immergiamo totalmente in quello che scopriamo, per poi mettere mano a quel suono e crearci sopra un pezzo. Nei concerti, ormai, non utilizziamo più i vinili, per ovvi motivi, ma un software che è controllato, e suonato, dai vinili stessi che rimane, seppure in maniera diversa, nel nostro live.
Il 14 luglio sarete in Italia al Flowers Festival, unica data nel nostro paese. Cosa ci dobbiamo aspettare?
Siamo felicissimi di poter suonare al festival di Torino. Siamo venuti parecchie volte a suonare in Italia e ci è sempre piaciuto. Permettere alla nostra musica e al nostro gruppo di viaggiare è sempre una bella soddisfazione. Sarà la prima volta che suoneremo in questa nuova formula di live in Italia e siamo felici di poterlo fare.
L’intervista in lingua originale è a pag. 2